L'onda lunga del blockbuster coreano
Superare al box office la soglia dei dieci milioni di biglietti venduti rappresenta in Corea del Sud non solo un risultato straordinario dal punto di vista economico, ma anche un traguardo di tipo simbolico, una sorta di prova di forza che serve a dimostrare l'imponenza dell'industria cinematografica nazionale. Tale record è sino adesso appannaggio solo di pochi titoli usciti dal 2003 in poi, ma forse la cosa più sorprendente è che si tratta di blockbuster sempre molto vari per quanto attiene al genere, alla materia trattata e allo stile registico, tanto che è quasi impossibile individuarne linee e tratti comuni. Dall'action di guerra Silmido (11 milioni di biglietti venduti), al drammone bellico-famigliare Tae Guk Gi (11,7 milioni), passando per il dramma in costume d'ascendenza teatrale King And The Clown (12,3 milioni) e per il monster movie The Host (13 milioni), fino a quest'ultimo catastrofico Haeundae - incentrato su un mega-tsunami che si abbatte su un'affollatissima località balneare -, divenuto il caso dell'ultima stagione cinematografica con oltre 11,4 milioni di biglietti venduti. Il denominatore comune è sempre il faraonico budget di realizzazione, che consente di galvanizzare il pubblico battendo sui tasti della spettacolarità, della sontuosità della messa in scena, dell'abbacinante meraviglia degli effetti speciali. Per contro, il soggetto e la sceneggiatura di questo tipo di produzioni vengono spesso pianificate a tavolino, in modo da risultare il più possibile tradizionaliste e "nazional-popolari", con lo scopo di suscitare facili sentimenti di empatia e di riuscire a catturare contemporaneamente molteplici target di audience.
In questa cinquina d'oro probabilmente l'unica eccezione è The Host, che dimostra come nelle mani di un vero autore, quale appunto Bong Joon-ho, anche un disaster-movie fracassone può tramutarsi in un'acuta analisi sociale e politica sulla famiglia coreana. Non è possibile dire la stessa cosa per Haeundae, affidato al giovane regista specializzato in commedie demenziali Yoon Je-kyoon, che pure potrebbe essere accostato al film di Bong perché tenta di coniugare la spettacolarità visiva del genere catastrofico con uno sviluppo della dimensione umana e affettiva dei personaggi. Oltre un'ora del film è infatti spesa per delineare un variegato affresco collettivo: la storia del geologo Kim Hwi, che ha abbandonato la moglie e la figlia ma saprà alla fine riconciliarsi con gli affetti perduti; quella di Man-shik, avvinto dal senso di colpa per aver causato la morte del padre di Yeon-hee, ragazza di cui è segretamente innamorato; quella ancora dell'inesperto guardacoste Hyeong-shik che si invaghisce di un'altolocata signorina di Seoul. Il meccanismo è basilare: accumulare la tensione emotiva fino a raggiungere il climax durante l'avvento della catastrofe naturale. Il mega-tsunami che si abbatte sulla spiaggia di Haeundae è l'innesco per risvegliare il coraggio interiore e superare i dissidi familiari e sentimentali, in un trionfo magniloquente di retorica e sentimentalismo. Non c'è quindi alcuna pretesa che vada al di là del puro intrattenimento di massa nel film di Yoon Je-kyoon, che è accostabile piuttosto a giocattoloni visivi come The Day After Tomorrow - L'alba del giorno dopo e 2012 o, per rimanere in Asia, come il nipponico Japan sinks. Ed è una prova muscolare che serve a dimostrare la capacità dell'industria sudcoreana nella realizzazione di effetti speciali (a dire il vero sviluppati in questo caso anche grazie all'americana Polygon Entertainment), a tutti gli effetti di qualità hollywoodiana. Alcune scene hanno davvero un impatto sbalorditivo, come nel caso di una nave cargo che si abbatte su un ponte sospeso, oppure di una bambina salvata in extremis dall'ultimo piano di un grattacielo inondato. Ma tutto il resto affonda...