Ne L'isola degli idealisti, il film diretto da Elisabetta Sgarbi arrivato in sala e liberamente ispirato al romanzo postumo di Scerbanenco, Tommaso Ragno e Elena Radonicich fanno la differenza. Interpretano Beatrice e Celestino, una ladra e un ex medico con la passione per la filosofia arroccato insieme al resto della sua strana famiglia, i Reffi, nell'imponente villa che sorge nel cuore di un isolotto tra le nebbie di un paesaggio non meglio identificato.

A essere ben definiti sono invece i loro ruoli: Beatrice in quella casa ci è finita quasi per caso insieme al compagno Guido in una gelida notte di gennaio mentre tentavano di fuggire dalla polizia, Celestino è un borghese perseguitato da sensi di colpa e illusioni, che invece di denunciarli gli offre ospitalità nella villa di famiglia, ma a patto che si impegnino a seguire "un corso di educazione" e a cambiare vita. Quello che non sanno è che Villa Reffi diventerà ben presto la loro prigione, un simulacro della realtà dove a farla da padrone è l'artificio e l'arte della parola.
Beatrice e Celestino, "la ladra" e "l'illuso": intervista a Tommaso Ragno e Elena Radonicich
Ma Beatrice e Celestino sono molto più che "una ladra e un illuso". "Beatrice è innanzitutto una persona che non sa chi è - ci racconta Elena Radonicich alla Festa del Cinema di Roma dove il film è stato presentato in anteprima - Sicuramente fa la ladra, ma è molto distante dall'esserlo, cosa che peraltro capisce immediatamente anche Celestino. C'è una grossa distanza tra quello che si fa e quello che si è e anche se qualcuno potrebbe dire il contrario, io sono della prima scuola. Beatrice ha subito molto nella vita, probabilmente è anche una persona che si ama poco, che sa poco di sé e alla quale manca quello zoccoletto di amor proprio che serve per andare nel mondo. Dal punto di vista di Beatrice Celestino non è un illuso, credo che per lei sia un eroe perché è capace di vivere delle sue idee, sa che cosa pensa e a differenza sua sa qualcosa di sé. Il fatto che si fidi di lei, è il primo gesto d'amore vero che riceve".
Per Tommaso Ragno invece, Celestino "si potrebbe chiamare in qualsiasi altro modo" o essere qualsiasi cosa: "Un fantasma? Un'emanazione dell'immaginazione dello spettatore? Può darsi. Celestino prende corpo quando entra in contatto con il personaggio di Elena, con tutta la sua dirompenza del femminile, dell'elemento generativo illuminante e abbagliante, con tutta la forza che il femminile è capace di portare. Senza questo elemento la figura di Celestino rimarrebbe perfettamente a proprio agio; essere isolati è una condizione importante, perché le persone giuste arrivano quando si è soddisfatti della propria solitudine".
Come rendere credibile l'artificio de L'isola degli idealisti

Per poter mettere in scena le creature de L'isola degli idealisti Sgarbi ha percorso la strada esattamente opposta a quella della naturalezza; i personaggi filosofeggiano, si abbandonano a riflessioni di tipo esistenziale e spesso parlano come un libro stampato. Il compito degli interpreti era dare forma a questo artificio nella maniera più naturale possibile, sembrerebbe un ossimoro ma non lo è: "Molto spesso si confonde la naturalezza con qualcos'altro, ma la forma è necessaria ovunque, corrisponde al contenuto. Abbiamo dovuto essere naturali proprio in questa forma. - racconta Ragno - Per poter fare questo film Elisabetta ha inventato uno stile nel quale dovevamo riuscire a essere veri, accettabili, credibili per lo spettatore, cioè niente che somigliasse a quello che si trova nella quotidianità. Per questo motivo mi piacciono tanto i film di fantascienza, perché propongono cose che non trovo nel reale".
A lezione di... paura

La lezione che hanno imparato da questo "corso di educazione"? "Niente, ho già dimenticato tutto, ma stare dentro quella dimensione ha portato qualche cosa nella mia esperienza di vita. Oggi che ne parliamo per la prima volta, mi rendo conto che quella fatta con Elisabetta è un'esperienza molto rara e di incitazione a prendersi la responsabilità della libertà del tuo mondo", confessa Ragno. Radonicich ha imparato invece "che la paura ha due grandi aspetti: uno serve a salvarti la vita, si impara da piccoli e a volte si dimentica, l'altro è che la paura spesso è timore di non essere riconoscibili o riconosciuti, e impedisce la scoperta di nuovi orizzonti. Questo film mi ha fatto molta paura mentre giravo, ma me le ha insegnato entrambe; mi ha ricordato che è importante avere alcune paure perché ci preservano ed è importante superarne altre perché ci permettono sinceramente di andare in zone sconosciute, abbandonando ciò che c'è di certo".