"Un film nato in un contesto particolarmente difficile dal punto di vista produttivo, visto il momento economico particolare che sta vivendo il Portogallo, che rischia di mettere fine al cinema portoghese". Senza mezzi termini il produttore Pedro Fernandes Duarte di Rosa Filmes, non manca di sottolineare quanto questo renda ancora più speciale questo film che viene presentato in concorso al festival di Roma. Ritorna alla regia Vitor Gonçalves dopo anni di silenzio, con una storia dolorosa di intimità e silenzi dove l'impiegato Hugo si trova a riflettere sulla sua vita alla quale pian piano si è sottratto chiudendosi in se stesso. Un film che ruota tutto sull'intimità del personaggio e sul cui significato abbaiamo cercato di approfondire durante il nostro incontro.
Abbiamo notato che nel film compare più volte la piazza che il protagonista guarda dalla finestra, la Praça do Comercio, la Piazza del Commercio, di Lisbona. Ha un significato particolare? Vitor Gonçalves: La piazza che vediamo nel film ha un significato sicuramente simbolico, è un luogo importantissimo per i portoghesi. In quella piazza hanno avuto luogo gli avvenimenti più importanti della storia sociale e politica del Portogallo, sia quelli più remoti, come l'assassinio del Re Carlo I ad esempio, fino agli avvenimenti più recenti, come le manifestazioni contro il regime fascista. Dopo la fine della dittatura negli anni settanta, la gente ha ripreso a frequentarla, a viverla, simbolo di una nazione che rivedeva la luce dopo gli anni del regime: è un luogo simbolico, unico per tutti i portoghesi.Quindi la presenza di questa piazza rende il film un film politico? Magari non solo sul Portogallo, ma anche sulla situazione dell'Europa in generale?
Molto interessante questa osservazione. In realtà questo vuole essere soprattutto un film sulla vita intima del protagonista, ma ovviamente non può prescindere da ciò che lo circonda e il suo mondo interiore si riversa anche all'esterno. Questa è un po' una caratteristica forse di tutti i portoghesi, quella di essere chiusi in se stessi, vivere la loro dimensione intima, e guardare quella esterna come se fosse qualcosa che non gli appartiene, che non li riguarda.
Il personaggio di Hugo vive rintanato in se stesso, schivando le emozioni, nascondendosi per tutto il film: ma inevitabilmente tutti questi sentimenti repressi dovevano ad un certo punto affiorare, emergere. La scena in cui sfoga la sua rabbia nei confronti del suo collega è volutamente muta, non sono le parole ha scatenare quello che ha dentro, ma il non poter controllare più quello che ha represso fin'ora, quello che si scatena in seguito alla morte di Antonio.
C'è qualcosa di autobiografico in questo film? E anche l'ombra del suo maestro Antonio Reis?
C'è sempre una vena autobiografica, in questo caso piuttosto nel giovane Hugo, per la sua malinconia e per il modo in cui si isola dal mondo. E inevitabilmente c'è sempre l'ombra del mio maestro Antonio Reis dal punto di vista estetico.
Come hai lavorato sul personaggio per riuscire a far uscire il suo mondo interiore, a rendere visibile l'invisibile?
Filipe Duarte: Sentivo il personaggio come una specie di eroe. Il mondo corre nel film e lui no, lui è chiuso nella sua intimità e si nasconde alla vita mentre tutto intorno a lui scorre. Ho avuto il tempo di lavorare tra le righe invisibili del suo mondo, di concentrarmi sugli oggetti intorno a lui, sul tempo che trascorre. Vitor mi ha trasmesso la sua nozione di tempo, mi ha fatto vedere il contenuto nella forma.