Un incontro stampa breve ma ricco di riflessioni e suggestioni, quello che ha seguito, alla Casa del Cinema di Roma, la proiezione di L'estate d'inverno, esordio alla regia di Davide Sibaldi: un film che, finalmente distribuito dopo tre anni di limbo, dimostra ancora una volta come le buone idee, nel cinema italiano, vengano soprattutto dalle piccole produzioni indipendenti, frutto del coraggio di registi e produttori capaci di rischiare in prima persona con opere interessanti e anticonvenzionali. Un incontro che ha visto la partecipazione, oltre che del regista e dei due protagonisti Fausto Cabra e Pia Lanciotti, del produttore Enzo Coluccio e di Christian Lelli, responsabile della Iris Film che ha distribuito la pellicola.
Il primo a prendere la parola è Coluccio, che spiega come la produzione di un film del genere sia, specie in Italia, un percorso tutt'altro che semplice: "E' stato difficile, così come per tanti progetti analoghi. La nostra difficoltà principale è quella di creare una 'rete' di persone in grado di lavorare a film come questi: l'incontro con Davide quindi è stato anche cercato da parte nostra. La nostra politica, infatti, è innanzitutto quella di dare spazio a giovani registi esordienti. Ci siamo avvalsi anche di una montatrice bravissima come Rita Rossi, mentre l'incontro con Christian Lelli ci ha aiutati a reggere meglio il peso economico dell'operazione, che spesso, in casi analoghi, fa ricadere sui produttori anche i costi della distribuzione".
Il regista Sibaldi entra poi nei dettagli della realizzazione del film: "La cosa che mi è piaciuta è stata la velocità con cui lo abbiamo realizzato. Ho scritto la sceneggiatura in un mese, poco dopo aver finito il liceo, l'ho portata ad Enzo e in appena cinque giorni abbiamo girato il film. Solo la postproduzione è stata lunga, considerati anche i tempi di riversamento su pellicola del girato in digitale; inoltre il montaggio ha richiesto molto tempo, visto che si tratta di un montaggio molto serrato, con una media di 4 secondi ad ogni stacco. Volevamo evitare il 'vorrei ma non posso' che caratterizza molto cinema italiano attuale a causa della mancanza di mezzi, ma anche lo scoraggiamento del 'potrei ma non voglio' che porta a non impegnarsi abbastanza; io ho voluto approfondire i due personaggi in modo molto dettagliato, ho persino creato ex-novo l'albero genealogico di ognuno di loro. Per come la vedo io, loro rappresentano la parte maschile e femminile che è presente in ognuno di noi. Uno dei miei modelli, nella realizzazione del film, è stato John Ford, forse il regista che nella storia del film ha girato più film ambientati in un'unica location; inoltre mi servivano attori che provenissero dal teatro, in grado di reggere tempi di recitazione molto lunghi. Infatti molto spesso giravamo con tre telecamere piazzate contemporaneamente in punti diversi del set, senza interruzioni, e non si provavano le battute: provavamo girando".
Pia Lanciotti aggiunge poi la sua personale percezione del tempo passato sul set: "Mi è rimasta impressa soprattutto l'intensità del tempo che abbiamo passato insieme. Si lavorava intensamente e in tempi stretti, rivedendo poi il film abbiamo notato tante ingenuità e particolari che sarebbero stati da correggere nella recitazione: ma forse sono anche queste ingenuità e imperfezioni il bello del film."
Qualcun altro sottolinea poi come il film possa essere visto un po' come una seduta psicanalitica, in cui il ruolo del terapista è ricoperto prima dall'uno, poi dall'altro dei due personaggi. "Non so molto di psicanalisi, ma mi piaceva l'idea del mentore che crea il suo futuro mentore, visto che per la prima parte del film questo ruolo è ricoperto da un personaggio, per poi passare all'altro verso la fine." All'osservazione che il film non risponde a uno schema collaudato di pellicole analoghe, che prevede una tragedia finale o un omicidio, il regista risponde così: "In genere non amo i finali negativi al cinema, credo lo spettatore si affezioni ai personaggi, e se muoiono lui non esce bene dal film. In questo caso, il finale aperto mi piaceva molto. Inoltre, far morire uno dei due personaggi avrebbe significato rompere l'equilibrio tra di loro: come ho detto, io credo che i due rappresentino il lato maschile e femminile che c'è in ognuno di noi, ed è giusto che restino in equilibrio, come parti complementari di un'unica entità. Il film se vogliamo è "tridimensionale", nel senso che ti immerge completamente nella storia, il fatto che sia girato in tempo reale ti fa sentire vicino ai personaggi, puoi quasi toccarli, sentirne l'odore."
Ai due attori viene chiesto come hanno affrontato i rispettivi ruoli. "E' stata un'esperienza particolare", spiega Fausto Cabra, "perché la prima volta che abbiamo recitato ad alta voce il testo è quella che avete visto sullo schermo. Questo comporta ovviamente un limite, che consiste nell'insicurezza derivata dal non aver potuto provare, ma anche un vantaggio: ci si affida infatti completamente al testo, lo si segue come unico punto di riferimento, visto che non ce sono altri. L'elemento principale, comunque, è il lavoro che abbiamo fatto noi due sulla preparazione all'ascolto, tutta la nostra prova si è basata su questo." Anche Pia Lanciotti ha sottolineato questo aspetto: "E' vero, la preparazione all'ascolto è stata il punto principale. Considerati i tempi stretti, mandare a memoria intere porzioni di testo è stato molto difficile, e inoltre il particolare tema del film, quello dell'abbandono, risuonava sempre in ognuno di noi. E' un tema che ci riguarda tutti. Anche questo tema, così sentito, ha aiutato molto la preparazione all'ascolto."Viene sottolineata, poi, la similitudine di tema con il film francese Notte d'estate in città di Michel Deville, anch'esso incentrato su un lungo dialogo tra un uomo e una donna successivo al loro primo rapporto sessuale. "Questo argomento delle similitudini tra i film è terribile", ammette il regista. "Evidentemente ci sono nell'aria dei flussi di idee, che vengono colti da persone diverse in luoghi diversi. Non è la prima volta che succede, ad esempio poco dopo l'uscita di Matrix, Christopher Nolan scriveva Inception, film dal tema molto simile. Nel mio film, ho voluto differenziarmi da un ulteriore cliché del cinema italiano recente, che racconta sempre di personaggi alto-borghesi: i personaggi qui sono due poveri, entrambi con una vita non facile".