L'arte giovane al muro
Il cinema italiano ha scoperto il mondo dei giovani, ma fatica a rappresentarlo in maniera adeguata. Giancarlo Scarchilli, al quale sono voluti quasi dieci anni per realizzare questo suo terzo film, prova a restringere il campo, focalizzando l'attenzione stavolta su una sottocultura giovanile attiva soprattutto nelle grandi città, quella dei writer. I loro disegni sui muri, sui vagoni dei treni e più in generale su qualsiasi spazio offra buona visibilità, hanno trovato così tanti estimatori nel tempo che per essi è stata addirittura scomodata la definizione d'arte contemporanea. Eppure il confine che separa gli scarabocchi egocentrici a deturpare il paesaggio urbano dalla bellezza dei colori di vere e proprie opere che lanciano un messaggio all'esploratore cittadino sembra essere sempre più labile. Nel film di Scarchilli c'è la necessaria divisione in bande: quella "cattiva" che volgarizza il fenomeno, limitandosi ad una serie selvaggia di tag (firme) a insozzare i muri dei palazzi, e quella encomiabile che lancia i propri messaggi positivi al mondo attraverso pezzi (disegni) con velleità più artistiche. Così s'accontentano e si giustificano allo stesso tempo i sostenitori, di una parte e dell'altra, della diatriba arte vs scempio.
Scrivilo sui muri è una commedia, quindi un lavoro di finzione che non ha alcuna pretesa di testimoniare la reale spinta che fa nascere e tiene insieme una sottocultura. Per raccontare in maniera più degna il popolo underground del writing ci sarebbe forse voluto un documentario, perché qui si cerca invece di privilegiare il raccontino generazionale, parlando delle disavventure dei soliti giovani problematici, seppure con vestiti e passioni diverse. Perciò tornano buoni i problemi inevitabili del rapporto genitori-figli, le difficoltà del lavoro, l'impossibilità di trovare spazi adeguati per esprimersi e la voglia di ribellione che si esplicita nelle scorribande notturne a lasciare la propria sigla in giro per la città. Ed è immancabile la storia d'amore: quando si parla di un gruppo di amici si finisce sempre con l'inserire una femme fatale a mettere in crisi l'amicizia storica dei due ragazzi di riferimento ed essendo questa, come già detto, una commedia, la risoluzione del conflitto non può che essere la solita, quella più scontata e rassicurante, perché l'amore deve sempre trionfare, ma l'amicizia dev'essere fatta salva ad ogni costo.
Gli attori di Scrivilo sui muri (da Cristiana Capotondi a Ludovico Fremont, da Primo Reggiani all'esordiente Dolcenera) hanno tutti un passato televisivo da fiction o da reality (due di loro ne sono usciti addirittura vincitori) ma al cinema riescono in qualche modo a cavarsela, soprattutto perché immersi nell'oscurità della notte di Roma che più di una volta prende il sopravvento sulle gesta di questi artisti notturni incappucciati. Ma a vedere rappresentati i nostri giovani ribelli come un gruppo di ragazzini senza stimoli reali (se non quello di vagare di notte alla ricerca di un muro vergine su cui lasciare un segno del proprio passaggio) che fuma erba in macchina mentre in sottofondo c'è Vita spericolata di Vasco Rossi (puntualmente intonata energicamente dall'intero gruppo) ci sorge qualche dubbio sul valore di una pellicola che piuttosto che descrivere degnamente le generazioni più giovani sembra mortificarle una volta di più. Dell'urgenza di comunicare, delle motivazioni più importanti che vogliamo credere spingano i writer a conquistare la città con la propria arte non ci pare scorgere alcuna traccia. Solo dialoghi banali, le figure ormai stereotipate dei sempre più terribili genitori che non sanno comprendere i propri figli, e quelle storielle d'amore effimero basate solo sull'attrazione fisica, pronte ad essere spazzate via al passaggio di un corpo più invitante. Scomodare poi Il piccolo principe, il suo fiore e il suo pianeta a scandire il succedersi degli eventi con relative prese di coscienza ci sembra solo l'ennesima banalizzazione di un film destinato ad eclissarsi nel buio della notte che racconta.