Recensione Waste Land (2010)

Il lavoro di Lucy Walker ripercorre l'originale esperimento artistico di Vik Muniz, deciso a ritrarre, utilizzando i rifiuti, i lavoratori di una discarica a Rio De Janeiro: un'occasione per riflettere sulle potenzialità dell'arte e sui suoi risvolti più pragmatici.

L'arte ci salverà

E' cosa nota che l'arte contemporanea non abbia molti estimatori, tra i non addetti ai lavori. C'è chi la considera inutile, priva di significato, quando non addirittura pretestuosa. Forse chi ha scarsa fiducia nelle potenzialità e nel valore dell'operato degli artisti di oggi dovrebbe guardare il documentario di Lucy Walker, e finirebbe senz'altro per ricredersi. Perché il film non è una mera celebrazione del genio creativo di un individuo, della sua visione, in grado di catapultarlo, dai sobborghi di San Paolo, alle più famose gallerie d'arte d'Europa. Si vede anche questo, certo, ma solo collateralmente: di Vik Muniz, prima di tutto, si testimonia la volontà di restituire qualcosa a un destino che gli ha dato tanto, forse più di quanto lui stesso avrebbe immaginato.

"Se uno non ha nulla, ma vuole tutto, allora la sua vita vale la pena di essere vissuta. Se uno ha tutto, e non vuole niente, allora no. Io adesso ho tutto". Questa dichiarazione lapidaria non potrebbe spiegare meglio gli intenti dell'artista: arrivato all'apice del successo, Muniz sente che quel successo può essere messo al servizio di uno scopo importante. E per realizzare questo obiettivo si guarda indietro, ripensando al suo Brasile, e scegliendo di portare alla luce una storia negletta, non tanto al pubblico internazionale ma anche alle stesse autorità del Paese. E' la storia dei catadores, uomini e donne che lavorano in discarica separando i materiali riciclabili da quelli che non lo sono, e rivendendoli al chilo alle multinazionali: un lavoro duro, ma dignitoso, di cui i protagonisti dell'esperimento di Vik si dicono orgogliosi, perché rappresenta l'alternativa a una vita di spaccio, prostituzione, criminalità. E' questa forza, questa determinazione che l'artista vuole ritrarre, utilizzando come materiale proprio quei rifiuti che sono la fonte di sostentamento dei suoi soggetti: una diciannovenne madre di tre figli, una giovane divorziata cui l'ex marito impedisce di vedere la figlia, persino il capo dell'associazione che si occupa di chiedere un riconoscimento ufficiale per i lavoratori della discarica, un moderno filosofo ammiratore di Marat e Machiavelli.
Accettare di essere parte di un progetto così visionario e apparentemente folle, capire che la vita può essere qualcosa di più del lavoro, della fatica, dell'abnegazione senza risultato, sentirsi vivi di una felicità insospettabile: è questo il percorso compiuto dai lavoratori della discarica Jardim Gramacho, che già di per sé basterebbe a rendere il film meritevole della visione. Eppure la ricerca della Walker e di Muniz si spinge ancora più in là, interrogandosi sulle conseguenze a lungo termine di quella che inizialmente sembrava niente più che una buona azione, senza se e senza ma. E' giusto far intravedere ai compagni di avventura di Vik un mondo diverso da quello in cui hanno sempre vissuto, un mondo a cui hanno potuto prendere parte per un momento, ma da cui con ogni probabilità si dovranno allontanare, per tornare alla loro vita ordinaria? Non è solo un modo crudele, sebbene involontario al principio, per illuderli, per rendere loro ancora più insopportabile un'esistenza con cui erano faticosamente riusciti a venire a patti, di cui erano, in fin dei conti, fieri? Dalle domande di Vik e del suo staff traspare il senso di colpa di chi ha tutto ciò che sente come un diritto acquisito, ma che per molti non è tale, la tentazione di sentirsi ipocriti, di pensare che comunque noi "ricchi" non possiamo che sbagliare. Eppure, malgrado questo, vanno avanti: perché la conoscenza è potere, perché l'arte è potere, perché la volontà è potere, e questo gli uomini e le donne di Jardim Gramacho lo capiranno molto bene, traendone la lezione più importante, fugando così le incertezze di chi pensava che quell'esperienza li avrebbe cambiati in peggio. E, invece, per una volta l'arte contemporanea ha avuto l'effetto giusto: ci ha fatto capire che quando si ha anche solo la minima possibilità di andare oltre, anche se il presente non ci sembra così male, è rassicurante, è un buon compromesso, bisogna coglierla, perché la vita che vale la pena di essere vissuta è quella in cui si vuole sempre qualcosa di più.

Movieplayer.it

3.0/5