Un lavoro come Seventh Code è atipico, ma solo fino a un certo punto, nella carriera di un cineasta come Kiyoshi Kurosawa. Il regista nipponico, infatti, è abituato a giocare coi generi, imponendo sempre ad essi la sua personale visione di cinema: se questa, finora, si è espressa al meglio attraverso l'horror, qui un genere come il thriller spionistico gli ha comunque consentito di mantenersi fedele a quella che, nel corso degli anni, si è configurata come poetica precisa e riconoscibile.
Nella conferenza stampa di presentazione del film al Festival di Roma (nel corso del quale Kurosawa ha presentato anche il corto Beautiful New Bay Area Project) il regista ha potuto raccontare la genesi del suo lavoro, e i motivi che lo hanno spinto a scegliere un soggetto per lui tanto insolito.
Lei è spesso categorizzato come regista di film horror, ma in Seventh Code c'è poco di questo genere. Dirigere questo film è stato un modo per staccarsi da questa etichetta? Perché la scelta di ambientare la storia in Russia?
Kiyoshi Kurosawa: Io amo i film horror, ma amo anche altri generi: certo, ho voluto evitare di essere etichettato. La scelta della Russia non ha una motivazione precisa: l'attrice principale è molto conosciuta, in Giappone, anche come cantante: per questo ho voluto provare a calarla in un ruolo completamente diverso da quello per lei naturale. E' un film d'azione, che rispecchia i miei gusti, e che mette in luce anche le sua capacità fisiche.
All'inizio non ci ho pensato, ma a posteriori ciò può essere vero. Credo che i film della Nouvelle Vague si siano ispirati, a loro volta, ai film di genere statunitensi: erano film particolari, per la Francia di allora, che mettevano in prima linea l'amore per quel cinema. Anch'io volevo ricostruire le tematiche di certo cinema di genere americano, in un territorio diverso.
Nel finale del film è forse ravvisabile un segno del destino?
Non ho pensato sinceramente a una tematica così astratta: cercavo semplicemente un finale per il mio film. La giovane protagonista è molto spietata, ha ucciso a sangue freddo un uomo. Volevo trasmettere il fatto che lei non potesse scappare così facilmente dalla strada che aveva intrapreso: nel finale, non si sa se sia viva o è morta, ma sappiamo che comunque trascina nella sua vita attuale tutta la sua storia di spietatezza. Anche nella Nouvelle Vague o nella New Hollywood si vedono spesso i protagonisti morire: forse inconsciamente, ho preso da lì l'ispirazione per il finale.
Questo donne così forti sono solo funzionali solo al genere, o riflettono un suo gusto per questo tipo di personaggi?
Sono vere ambedue le cose: per "lavoro" devono essere donne molto forti, ma è bello anche pensare che il sesso debole sia in grado, a volte, di sopraffare l'uomo. E' un tema del cinema del passato che mi piace vedere e riprodurre.
Oggi, le durate dei film si sono progressivamente allungate. Ci sono molti film che necessitano di una maggiore lunghezza, perché il regista deve far vedere di più. Il mondo stesso, negli ultimi anni, è diventato più complesso, e quindi i film, di conseguenza, si sono allungati: fare film brevi è diventato sempre più difficile. Una volta un film durava circa 90 minuti: se ne potevano guardare due in una giornata e rimanere soddisfatti. Io volevo invece produrre un breve film che, al suo interno, potesse rappresentarne addirittura due: da una parte il film in sé, e dall'altra l'espressione della musica della protagonista.
Da cosa deriva la mescolanza di generi presente nei suoi film?
Me lo domando anch'io, in effetti non ci ho mai pensato. Il principale motivo, forse, è il fatto che, quando penso ai film di genere, penso soprattutto ai film americani: specie a quelli un po' datati. I tempi attuali sono molto diversi, il paese in cui lavoro anche: io vorrei ricostruire quello stesso tipo di film nel Giappone di oggi, e per questo devo aggiungere qualcosa. Sono costretto, per ricreare quelle atmosfere, ad aggiungere degli elementi che le adeguino al Giappone dei tempi moderni: in questo modo, devo comporre quindi una mescolanza di generi.