E' un Kim Ki-duk che sembra ormai rigenerato, e col periodo peggiore definitivamente dietro le spalle, quello che è tornato quest'anno al Lido, dopo il trionfo nella scorsa edizione del suo Pietà. Nonostante i consueti modi cordiali, e la tranquillità che emana dalla sua persona, il regista sudcoreano non ha rinunciato ai temi estremi: il nuovo Moebius, presentato stavolta fuori concorso, non teme di destabilizzare l'istituzione familiare, con motivi quali l'adulterio, la castrazione e l'incesto. Temi rappresentati col consueto furore iconoclasta, e con l'assenza di timori nella messa in scena della violenza, che da sempre gli sono propri.
L'incontro stampa, con cui il regista ha presentato il film a Venezia, ha visto anche la presenza dei due protagonisti, Seo Young Ju e Lee Eun-woo, che hanno parlato del loro coinvolgimento nella pellicola e dell'approccio ai rispettivi personaggi.
Il film è pieno di metafore, alcune delle quali si rifanno alla tragedia greca e al mito di Edipo. Questo tipo di archetipi appartengono anche al retroterra culturale asiatico?
Kim Ki-duk: In Inghilterra, così come in altri paesi occidentali, ci sono moltissimi film che parlano di questi argomenti. Io non sono molto avvezzo a questo tipo di storie: sono semplicemente voluto partire dai concetti sul sesso che esistono nella società coreana, per poi svilupparli e portarli alle estreme conseguenze. Ma non ho debiti nei confronti del mito di Edipo, né di altre storie simili.
Il leit motiv di tutte le colonne sonore dei miei film è l'esclusione delle musiche felici: ci sono motivi abbastanza tristi, o altri che creano piuttosto un'atmosfera di sacralità. Al compositore di Moebius, in particolare, ho chiesto di pensare a una musica di argomento religioso, che conferisse al film un'atmosfera sacra, solenne.
Il film ha avuto difficoltà nel superare il visto censura, in patria?
La versione originale del film non potrà mai essere vista in Corea; dopo averlo sottoposto alla commissione di censura, ho prodotto una seconda versione con circa 3 minuti di tagli, per soddisfare le leggi coreane, che si prefiggono di proteggere i giovani. Ritengo che questo della censura sia un problema, per il cinema, un argomento che sicuramente dovremo affrontare in futuro. La versione integrale del film, comunque, attualmente è stata mostrata solo a Venezia.
Il tema è sicuramente forte, e può colpire e dare adito a discussioni...
Vorrei però sottolineare che il mio non è un film sull'incesto, ma solo un'opera che tratta temi che in qualche modo vanno in quella direzione. Mi piacerebbe che in generale si guardasse al mio film in questo modo.
Come vive questa dicotomia, nell'accoglienza riservata ai suoi film? In patria vengono censurati, ma in Europa ricevono un'accoglienza entusiastica...
Le correzioni e i tagli sono dovuti a regolamenti che sono in vigore nel mio paese, che io non posso e non voglio violare. Aggiungo che il mio film ha superato per due volte il divieto di raggiungere le sale: è stato "purificato", diciamo, ma non è più il film che avevo fatto in origine. Comunque anche in Cina, per esempio, il rapporto dei registi con la censura è un rapporto difficile, e, spesso a causa di motivi politici, artisti di grande valore non possono produrre film per anni. E' una cosa negativa per il cinema, e per l'arte cinematografica in generale.
Seo Young Ju: Sul mio ruolo di moglie e madre, posso dire che innanzitutto interpreto una donna che vuole ricevere amore. Ho pensato a questi due grandi filoni concettuali per prepararmi al ruolo. Ovviamente, poi, c'è stato il grande aiuto ricevuto dal regista, che mi ha aiutata a capire come dare il massimo.
Lee Eun-woo: Quando ho letto per la prima volta la sceneggiatura ho avuto grossi dubbi sulle mie capacità di gestire il ruolo: ma ho avuto un grande aiuto dal regista, che nelle scene più difficili mi consigliava e mi guidava passo passo.
Anche se lei ama molto il suo paese, e si vede, ne descrive spesso i problemi più gravi. In futuro ne rappresenterà anche i lati positivi? Kim Ki-duk: Alla Berlinale di qualche anno fa, quando presentai Bad Guy, molti miei connazionali mi dissero che ero la vergogna del cinema coreano, e che il modo in cui descrivevo il paese doveva far vergognare tutta la Corea. Io ho risposto loro che questo mio approccio era invece frutto dell'amore per il mio paese; ma amare il proprio paese non significa chiudere gli occhi, amarlo significa anche metterne in evidenza gli aspetti che possono risultare negativi. In molti paesi occidentali, così come in Russia e in Turchia, il mio cinema è molto amato: ma questo non accade perché il mio è cinema coreano, ma più in generale perché è cinema. Al cinema si raccontano storie di umanità, universali, che trascendono la nazionalità del regista. Spesso mi si rimprovera di fare film violenti, ma io ritengo di essere capace, nei miei lavori, di descrivere lo stato di salute della società, la temperatura che vi bolle: ciò che dalla società viene a me, e viene poi trasformato in cinema.