Uno degli ospiti più discussi dell'Italian Global Series Festival è stato lui, Kevin Spacey, l'attore dietro ruoli iconici come Frank Underwood e Lester Burnham e che dopo una serie di vicende giudiziarie, terminate con l'assoluzione, ha avuto un'importante stasi nella sua carriera. Ovviamente in questi due giorni nei quali ha presenziato incontri, ritirando anche un excellance award durante la cerimonia di apertura, l'interprete ha avuto modo di prendere in più di un occasione gli applausi del pubblico venuto ad assistere all'evento.

Nonostante sia stato ospite a lungo dell'evento, Spacey ha accettato di partecipare ad un unico panel moderato dal direttore Marco Spagnoli, concordando due sole domande ad opera di due studenti di cinema. Durante questa chiacchierata, quindi, ha ripercorso la sua carriera per intero, parlando con moderazione della sua vicenda ma ripercorrendo con completezza i suoi ruoli più iconici. Eccovi quindi un resoconto del lungo incontro che ha costituito uno dei momenti di punta del festival.
Gli esordi in teatro

E la chiacchierata è iniziata partendo dalle origini, ovvero da quel personaggio che ha costituito per Spacey un punto di svolta: "Penso sia stato quando ho interpretato James Tyrone Jr. nell'opera teatrale Lungo viaggio verso la notte di Eugene O'Neill. È stato un punto di svolta per me perché è stato in quel momento nel quale ho imparato la quiete. Sai, interpretavo un personaggio alcolizzato ed ero veramente iperattivo in quella performance. Quella commedia mi ha insegnato il valore e l'esperienza di lasciare che sia il pubblico a venire da me, anziché essere io ad andare dal pubblico. Anche lavorare con Jack Lemmon, ogni singola sera in quella produzione per più di un anno, è stato motivo di gioia, felicità e umorismo, perché non era solo un grande attore. Lemmon era un uomo d'affari e lavorare con lui ogni giorno è stato uno dei grandi piaceri della mia vita, e averlo avuto così presto nella mia carriera è stata davvero una benedizione."
La consacrazione al cinema

La consacrazione arriva poi con il film I soliti sospetti di Bryan Singer: "Credo che quel film mi abbia insegnato il silenzio, l'immobilità e il potere del non detto. Che a volte la verità può essere proprio davanti ai tui occhi e tu potresti non accorgertene." Dal teatro al cinema quindi, una transizione che non ha modificato di molto l' approccio alla recitazione: "Quando ho iniziato a lavorare nel cinema ricordo di essermi guardato nei film e di non essermi piaciuto. Ai miei primi programmi televisivi in cui ho ottenuto lavori, pensavo semplicemente: "Ah!", ma col tempo, ho iniziato a conoscere me stesso e a capire cosa potevo fare. Non credo che ci sia differenza tra recitazione cinematografica e recitazione teatrale, credo che ci sia una buona recitazione e una cattiva recitazione, ma non ritengo che cinema e teatro siano diversi."
Il ruolo in Seven

Spacey ha rivelato di non aver avuto immediatamente il ruolo in Seven, ma di essere stato richiamato solo qualche tempo dopo il casting: "Quello che molti non sanno è che nel 1994, quando ho fatto il provino per interpretare John Doe e ho incontrato David Fincher, non ho ottenuto la parte, l'ha ottenuta qualcun altro. E così sono tornato a New York, erano passati un paio di mesi ed ero con mia madre quando squillò il telefono ed era il produttore di Seven che mi disse che David aveva licenziato l'altro attore quella mattina e che voleva io prendessi un aereo la domenica, era venerdì, per girare il martedì. Tutto si è sistemato, sono volato a Los Angeles. Mentre ero al trucco ricordo di aver chiesto a Fincher cosa voleva facessi e lui mi rispose: senti, penso che se non sbavi, probabilmente la faremo franca."
La visione di American Beauty

Altro ruolo iconico Kevin Spacey lo ha avuto in American Beauty, un film divenuto presto un cult: "Per me quel film parlava della graduale e lenta ribellione di un uomo che lotta contro la banalità, la quotidianità, la vita moderna. Mi sono identificato con quelle emozioni allora e mi ci riconosco ancora oggi. Vorrei essere stato più aperto ad altri aspetti della mia vita in quel periodo, ma la cosa di cui vado più fiero è quando le persone mi fermano e mi dicono di essersi riconosciute in Lester Burnham, di essersi identificate in modo molto personale con il suo percorso, un percorso che ho trovato molto onesto, aperto, pieno di umorismo e di decisioni inaspettate, con cui credo tutti possano identificarsi, desiderando di essere in grado di prendere quel tipo di decisioni."
House of Cards, una serie profetica?

Ovviamente si è parlato anche di House of Cards, la serie Netflix che ha riscontrato un successo planetaria raccontando l'ascesa politica di Frank Underwood, personaggio che in sé racchiude molti dei simbolismi propri del potere: "Probabilmente siamo stati più profetici di quanto immaginassimo, almeno in termini di come le persone vedono la politica." Alla domanda su cosa Il presidente Underwood potrebbe dire al presidente Trump, Spacey è stato lapidario: "Beh, prima di tutto, sento di non avere nulla da offrire al Presidente come attore. Ma come ex presidente, potrei dire che il potere è solo una questione di percezione e la percezione dura solo finché le persone glielo permettono."
Per il futuro l'attore si dichiara interessato a storie di redenzione e nel rispondere ad una domanda sul futuro a accennato alla sua vicenda giudiziaria: "Sono pieno di gratitudine, sicuramente per coloro nel mio settore che mi sono stati accanto, dall'inizio fino ad ora, ma anche per coloro che sono stati disposti ad aspettare un esito in tribunale prima di decidere cosa provassero nei miei confronti. Queste persone hanno la mia fiducia e farò tutto il possibile per mantenerla per il resto della mia vita. Per coloro che si sono affrettati a giudicare e hanno deciso che ero colpevole e mi hanno trattato di conseguenza, certo, hanno il mio perdono, ma non li cercherò per collaborare."