James Ivory, un regista dimenticato. Questo è il ritratto immaginario che spettatori e critica associano al leggendario film-maker americano recente vincitore dell'Oscar grazie alla sceneggiatura non originale di Chiamami col tuo nome, ma che non è mai così distante dalla realtà. Alla Masterclass dove è stato il grande protagonista, il 14 ottobre, alla Festa del Cinema di Roma 2022, è stato infatti accolto da un sonoro applauso e da un pubblico totalmente rapito. D'altronde non è così comune avere di fronte un titanico cineasta, che ha regalato capolavori del calibro di Camera con vista (1986), Maurice (1987), Mr. & Mrs. Bridge (1990), Quello che resta del giorno (1993). Difficile trovare una sola cifra stilistica per descrivere l'artista, ma probabilmente la definizione che gli è stata attribuita, ovvero "viaggiatore d'immagini e sentimenti", è la più azzeccata, oltre ad essere uno dei fil rouge dell'incontro con Ivory. Un faccia a faccia che è partito, paradossalmente dalla fine, dal suo ultimo lavoro, A Cooler Climate, tra le proiezioni speciali dell'evento capitolino, per poi tornare a ritroso a scoprire la carriera dell'autore, la sua sensibilità per le storie letterarie, la fiducia negli attori e l'ottimismo per il futuro.
A Cooler Climate, un tuffo nel passato
James Ivory ha fin da subito spiegato l'origine di quelle misteriose bobine cinematografiche al centro di A Cooler Climate , documentario dove il film-maker esplora il suo progetto incompiuto sull'Afghanistan e al tempo stesso spiega quanto queste riprese siano state importanti per la sua vita artistica. "Ero stato mandato in India per fare un film su Delhi, in inverno mi poi mi spostai perché era troppo caldo e mi trasferii per caso in Afghanistan, in quanto l'Asian Society mi mandò altri soldi per realizzare un altro film. Mi spostai lì principalmente per la temperatura mite, non sapevo nulla del luogo e iniziai a filmare quello che ritenevo interessante. Poco dopo incontrai Ismail Merchant e con lui partì la mia carriera e iniziai a fare altro. Quelle bobine sono rimaste nel cassetto fino ad oggi, mi sentivo colpevole a non averle sviluppate." Il già citato Merchant, compagno di una vita di Ivory, è stato anche il suo socio più longevo e insieme alla sceneggiatrice Ruth Prawer Jhabvala hanno fondato la Merchant Ivory Productions. Il regista ha scherzato sul suo partner e collega: "In un'intervista mi definì protestante, ma in realtà sono cattolico: lui, essendo musulmano, vedeva ogni religione diversa dalla sua come eretica."
Viaggiare, ma tornare sempre a casa propria
Il tema del viaggio è molto importante nella cinematografia di James Ivory e ciò è evidente fin dai suo inizi, a partire proprio dal famoso documentario girato a Kabul, proseguendo per altre terre lontane dai suoi Stati Uniti. "Non avevo interesse nei confronti dell'Inghilterra, mi affascinavano l'Italia e la Francia. Il mio incontro con il Regno Unito avvenne, paradossalmente, in India quando incontrai degli inglesi lì che mi avvicinarono al loro paese." Nel suo periodo "indiano", il cineasta diede vita diversi lungometraggi, il più apprezzato dei quali fu Il capofamiglia (1963). Ma come fece a produrre queste pellicole con pochi soldi, perché si trattava alla fine di film indipendenti? "Fu quasi impossibile. Ma il governo indiano bloccava all'epoca gli introiti nel paese che derivano da produzioni americane, quindi usammo quel denaro congelato." Nonostante il suo continuo vagabondare, Ivory non ha dubbi su dove sia realmente la sua casa: "In America, ovviamente. Nonostante mi sono spostato molto nel corso degli anni, mi piace sempre tornare a New York e in Oregon."
Dirigere la letteratura
L'autore americano ha alle spalle diversi progetti che sono l'adattamento di tante opere letterarie famose, gli è stato chiesto effettivamente da dove nasca questa grande passione per il recupero delle grandi storie radicate nelle pagine dei romanzi. In realtà la risposta del film-maker è ironica e non molto esaustiva. "Ho letto tanti libri durante la mia vita, non so perché ho voluto fare molti adattamenti. Forse perché li trovato deprimenti. Vi racconto un aneddoto: quando stavamo girando 'Mr. & Mrs. Bridge' qualcuno mi portò un libro che mi era stato presentato come noioso. Lo lessi rapidamente e decisi di farne una pellicola, era Quel che resta del giorno."
Il lavoro con gli attori e la qualità delle produzioni
È stato messo in evidenza come James Ivory abbia spesso lavorato con attori emergenti che sono poi diventati delle grandi celebrità come Helena Bonham Carter e Hugh Grant, apparsi rispettivamente in Camera con vista e Maurice. Ecco qual è il suo rapporto con le giovani star. "Bisogna lavorare con gli attori giusti al momento giusto. Mi fido dei giovani attori, che hanno grande talento e professionalità. Ovviamente quando passi ai divi anche lì gli do molta fiducia, ma non è sempre ben riposta." È altrettanto vero che anche gli attori si sono fidati nel corso degli anni della Merchant Ivory Productions, "perché facevano esattamente quello che volevano, si creava una sorte di connessione, di legame empatico." Il cineasta ha concluso dicendo che questo è possibile anche oggi, basta offrire qualcosa agli attori che sia veramente di valore, che valga veramente la pena. D'altronde, a detta del film-maker, questo sistema di merito e qualità non è mai fallito, anche perché continuano ad esserci artisti emergenti molto promettenti.
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I consigli ai giovani cineasti
Nella parte conclusiva dell'incontro, James Ivory, di fronte a delle domande del pubblico, ha dato dei consigli ben precisi a chi vuole fare cinema: "Cercate di trovare il vostro stile personale, bisogna attenersi a ciò che si crede senza compromessi. Per costruire una storia si deve partire necessariamente da personaggi interessanti e dai luoghi, per poi sviluppare tutto il racconto."
Quali sono i film preferiti di James Ivory?
Chiudiamo infine riportandovi quali sono i film preferiti dell'autore tra quelli che ha realizzato. Non è stato affatto semplice arrivare ad una risposta, ma ecco le sue parole. "Tra i tanti lungometraggi che ho girato, devo dire che apprezzo particolarmente quelli che tutti detestano, in particolare 'Surviving Picasso' (1996) e 'Jefferson in Paris' (1995). Oltre a questi due, amo molto anche 'Mr. & Mrs. Bridge' e tengo tantissimo a 'Chiamami col tuo nome'. La sceneggiatura di quest'ultimo l'ho ultimata in 4 mesi e onestamente mi sarebbe piaciuto anche dirigerlo, se mi fosse stato affidato comunque il copione. Non trovo facile dirigere uno script non mio."
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