Ipotesi per una visione
Il Presidente degli Stati Uniti (William Hurt) si trova in Spagna per un determinante summit sul tema del terrorismo. L'entusiasmo per l'avvenimento e l'enorme macchina organizzativa vengono documentati scrupolosamente da una stazione televisiva. L'uomo più influente del mondo arriva scortato da un imponente servizio di sicurezza in cui è stato reintegrato l'eroe Thomas Barnes (Dennis Quaid), solo un anno prima colpito da un proiettile diretto al Presidente. Neanche il tempo di salire sul palco per il suo discorso che viene colpito da un'arma da fuoco. E' il caos completo, culminante pochi minuti dopo nell'esplosione di una bomba. Flashback: l'intero accaduto viene riproposto dal punto di vista di Thomas Barnes e successivamente da quello di un turista americano (Forest Whitaker) intento a riprendere l'evento con la sua handycam. E così via per una molteplicità di punti di vista (otto) attraverso i quali ricostruiamo modi e ragioni dell'attentato terrorista.
Si ha un po' la sensazione di assistere a un riassunto cinematografico di una stagione di 24 condito dal tema rashomoniano (e ovviamente non solo) del significato del vedere, assistendo a Prospettive di un delitto. Ma se la portata delle riflessioni messe in campo non fa di certo gridare alla novità è indubbio che la modalità narrativa scelta dal film apra la visione a alcuni interessanti interrogativi e permetta numerose riflessioni. Su tutte, la tesi che le scienze sociali hanno ormai sposato appieno (a volte in modo eccessivamente acritico) secondo la quale la nostra realtà primaria non sia più frutto della nostra esperienza diretta ma della ricostruzione televisiva, o comunque mass-mediatica. Non solo poi, nel film il primo punto di vista presentato è quello televisivo, visto che il vero e proprio deus ex machina delle vicende narrate è rappresentato dal turista che con la sua videocamera svela di continuo trame sommerse e cospirazioni. Almeno fino al primo importante colpo di scena che spezza il film in due parti e, senza mettere in crisi il paradigma espresso, inserisce un secondo piano di lettura, da mass-mediologico a politico, sull'errata percezione del nemico. Elemento tipico del genere ma che in Prospettive di un delitto si arricchisce di un ulteriore dettaglio, legato all'esecuzione materiale dell'attentato. Chi ha sparato al Presidente? Per quale ragione? Ma soprattutto, qualcuno ha davvero sparato al Presidente? E come e per chi lavora l'Intelligence?
Possibilità interpretative e riflessioni in larga parte sperperate dalla usuale retorica con cui a Hollywood continuano a raccontare storie di uomini, eroi e presidenti in stallo e da una seconda parte del film in cui tutto il potenziale viene gettato alle ortiche per navigare nelle più tranquille acque dell'action fracassone e ipercinetico (con tanto di ovvi riferimenti stilistici a The Bourne Ultimatum - Il ritorno dello sciacallo) che scivola inesorabile e compiaciuto nel farsesco. Tanto che perfino la volontà abbozzata di raccontare il nuovo probabile corso democratico degli Stati Uniti - "non dobbiamo mostrare la forza ma essere forti" chiosa con fare tronfio William Hurt - non trova il minimo contrappunto nelle successive scelte narrative.
Nell'evidente e irreversibile perdita di mordente che assale il film da quando prende la strada della narrazione diacronica naufraga anche tutto il cast, soprattutto i nomi più altisonanti. William Hurt è più svogliato che mai e Dennis Quaid soprattutto mette su quel ridicolo grugno che utilizza ogni volta che viene scritturato per ruoli muscolari e che non si capisce come possa venire apprezzato da registi, produttori, pubblico e perfino familiari. Non è da meno Forest Whitaker che si conferma unico grande attore vivente capace di divenire in un batter d'occhio puro dilettante. Guardare per credere l'espressione che regala mentre riprende una coppia che si bacia.