Nell'iniziare la nostra recensione di Intrusion, il nuovo thriller disponibile su Netflix, non possiamo fare a meno di domandarci se sia lecito accontentarsi sempre di più del minimo indispensabile durante la visione di un film. Specialmente in un genere, capace di appassionare lo spettatore grazie a colpi di scena, misteri da risolvere e soluzioni imprevedibili, che richiede una certa dose di originalità nella scrittura e, in mancanza di questa, almeno di qualche idea visiva efficace (d'altronde stiamo pur sempre parlando di cinema e televisione, un linguaggio audiovisivo che fa forza sul racconto attraverso le immagini). Sappiamo bene che non bisogna cadere nell'errore di pensare ad ogni opera come unica o straordinaria nel suo genere rispetto a quanto già visto in passato per risultare riuscita, ma, proprio a causa della grande quantità di contenuti presente nelle piattaforme streaming, sarebbe bene prestare attenzione a veri e propri prodotti come Intrusion, che sembrano non solo accomodare il gusto del pubblico, ma anche volerlo abbassare.
Dentro le mura di casa
Dopo dodici anni di matrimonio, Henry e Meera decidono di trasferirsi da Boston alla ricerca di un posto più isolato e tranquillo. Lei è una psicologa che ha sconfitto il cancro, lui un architetto preciso e razionale che ha costruito la casa dei sogni, dove stanno andando a vivere. Una casa che sembra un capolavoro di architettura, moderna, enorme, arredata con tutti i crismi. Di ritorno da una serata romantica, la coppia trova la casa messa a soqquadro. Anche se non è stato rubato niente, qualcuno si è introdotto a casa loro, superando tutti i sistemi di protezione e di allarme. Sarà solo l'inizio. Le intrusioni si fanno più frequenti, rompendo la felice vita domestica dei due sposi e, soprattutto, la fiducia reciproca. La storia si incastrerà con un caso di una giovane ragazza scomparsa e Meera inizierà ad avere dei dubbi sul comportamento del marito. Comincerà un'indagine parallela a quella della polizia da parte di Meera per mettere a tacere le proprie paranoie e ritrovare, finalmente, quella serenità che tanto desiderava. Da questo punto di vista, l'intrusione del titolo ha una duplice funzione: da un lato lo si ritrova nell'evento più fisico e tangibile, di sconosciuti che riescono ad entrare in casa nel cuore della notte; dall'altro, ribaltando la prospettiva del classico home invasion, si tratta di un processo intellettuale, il pensiero costante a cui Meera non si dà pace e che la spingerà a scoprire la verità.
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Problemi di scrittura
Queste interessanti intuizioni rimangono, però, solo alla superficie, come scintille incapaci di scatenare la fiamma vera. Si tratta del primo di una serie di problemi di scrittura che affossano non tanto il piacere della visione (il film ha ritmo e, in qualche modo, è capace di far arrivare lo spettatore ai titoli di coda), quanto la profondità e la qualità di ciò che viene raccontato. Si può soprassedere su alcuni aspetti, soprattutto legati al modo in cui i personaggi vengono presentati e descritti, a come ragionano e a come si comportano, che rendono la trama prevedibile sin dall'inizio del film, tanto da non riuscire a sorprendere lo spettatore. Nelle storie legate a un mistero da risolvere si sa che ci sono due domande fondamentali e l'attenzione posta all'una o all'altra cambiano il focus narrativo del racconto. Ci si può concentrare sull'identità di chi ha compiuto il misfatto, ma si può anche ritenere scontata la risposta e focalizzarsi, invece, sui moventi, sul perché il suddetto personaggio ha agito in quel modo. In Intrusion, l'identità del malvagio è presto intuibile a causa di come agisce il sospettato (diciamocelo: abbiamo visto troppi film di questo genere per rimanere sorpresi), ma a lasciare interdetti sono proprio le motivazioni. Il terzo atto, quando i fili del racconto si riannodano, o meglio si svelano, è talmente esagerato e superficiale da risultare difficile da digerire. È proprio in questi ultimi momenti del film che ci si rende conto di come la scrittura, nel corso del film, sia rimasta sulla superficie delle cose, senza voler approfondire, interessandosi a un racconto di pura narrazione degli eventi, ma senza donare quella tridimensionalità ai personaggi tale da provare qualcosa per loro.
Una casa raffinata, una casa anonima
Non aiuta una recitazione sopra le righe che risulta davvero esagerata nei momenti conclusivi del film, soprattutto da parte di Logan Marshall-Green (mentre Freida Pinto rimane per quanto possibile in un registro piuttosto piatto, ma anche in questo caso, va sottolineato, è un problema di scrittura dei personaggi), che fanno crollare le fondamenta di questa casa fatta film. Come la villetta in cui vivono i protagonisti, Intrusion sembra non avere niente di sbagliato a prima vista. Eppure, questa apparente perfezione nasconde un mestiere senza cuore, freddo come il ghiaccio o come la mente dell'architetto che quella casa l'ha costruita. Pochissime le idee che darebbero al film quell'appartenenza maggiore al mondo dell'audiovisivo come racconto per immagini. Salvo un brevissimo virtuosismo in cui la macchina da presa si sbilancia, si nota una certa dose di pigrizia nella regia di Adam Salky che predilige, anche a livello fotografico, una chiarezza di stampo televisivo, forse sin troppo anonima. La battuta di solito legata a un giudizio sulle città "Bella, ma non ci vivrei" appare perfetta per descrivere la casa dei protagonisti e, di conseguenza, il film stesso: visto e già dimenticato.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Intrusion non possiamo ritenerci soddisfatti da un film di stampo thriller che presenta una scrittura superficiale, colpi di scena prevedibili, un’anonima messa in scena e una recitazione, specialmente nel terzo atto, davvero sopra le righe. Sia chiaro, in qualche modo questo prodotto televisivo riesce a trattenere lo spettatore fino ai titoli di coda, ma senza risultare davvero appassionante, coinvolgente e risultando già dimenticato una volta usciti dalla piattaforma streaming.
Perché ci piace
- Il ritmo del film riesce a trattenere lo spettatore fino ai titoli di coda.
Cosa non va
- La scrittura piatta e superficiale rende la storia prima prevedibile e in seguito esagerata.
- La regia anonima appiattisce il tutto destinando il prodotto a una dimensione sin troppo televisiva.
- La recitazione sopra le righe, specialmente nel terzo atto.