Al seguito della proiezione dell'ottimo Ti do i miei occhi, abbiamo avuto modo di ascoltare le parole della regista Iciar Bollain e della protagonista Laia Marull, in un interessante incontro con la stampa. Eccone alcuni estratti:
Il film è ispirato ad uno specifico fatto di cronaca spagnola? Bollain: No, non proprio, però l'interesse a fare un film sul problema della violenza domestica è nato con la lettura dei giornali. In Spagna negli ultimi anni il tema è passato dall'ambito privato a quello pubblico e ne volevo dare testimonianza. Mi incuriosiva soprattutto il fatto che in queste storie gli uomini non esistevano, erano fantasmi! Si parlava solo delle donne che erano le vittime, mentre a me interessava mostrare anche le personalità degli aggressori.
Esistono veramente queste terapie di gruppo per mariti violenti, come si mostra nel film? Bollain: Sì, ma è un fenomeno nella fase iniziale, la gran parte dell'assistenza terapeutica è dedicata alle donne. Sono state comunque istituite su richiesta delle vittime, che hanno imposto in molti casi la terapia ai loro uomini come unica condizione per rimanere insieme. Dalla terapia emerge che sono uomini che spesso non riconoscono nemmeno di avere un problema, sono come alcolisti che negano di avere problemi con il bere. Questi gruppi non danno però sempre risultati positivi, c'è un alto tasso di abbandono e se ci sono buone probabilità che questi uomini smettano di compiere una violenza di natura fisica nei confronti delle loro donne, quella psicologica è molto più difficile da arginare. Inoltre non è raro che le associazioni delle vittime protestino sul fatto che vengano utilizzati parte dei loro scarsi fondi per la terapia degli aggressori. In ogni modo, nel film la questione della terapia mi sembrava molto interessante soprattutto perché mi forniva la possibilità di approfondire la psicologia del protagonista, che nel contesto domestico appare sempre troppo silenzioso.
Hai percepito particolare differenza nella reazione maschile al film, rispetto a quella femminile? Bollain: Indubbiamente il pubblico femminile è apparso molto più interessato. Molti uomini però mi hanno confessato di aver apprezzato il film ed anche di essersi immedesimati col protagonista. Per gli uomini è una dura realtà da accettare, però sicuramente la reazione supera l'ambito femminile.
Laia, come ti sei preparata ad un ruolo così drammatico? Marull: E' sicuramente il ruolo più drammatico che abbia mai fatto. Mi avvicinavo ad un tema a me abbastanza ignoto, quindi mi sono affidata molto alla sceneggiatura che era scritta molto chiaramente, e io non ho fatto altro che seguire il processo di trasformazione di questa donna. Attraverso alcuni libri e l'incontro con donne che hanno subito violenza sono entrata più profondamente in questo mondo ma è stata dura. Lo sconcerto più grande viene dalla costante contraddizione che è presente nel cuore e nella testa di queste donne.
E' stato difficile rappresentare realisticamente il tema della paura all'intero delle mura domestiche e girare alcune scene violente? Marull: Per quanto riguarda le scene più forti, in realtà ho avuto meno difficoltà a girare quelle, piuttosto che le scene in cui magari spiegavo i quadri al museo. Non so perché, forse sono io ad essere strana. In merito alla paura nella casa, è una cosa molto reale: ho puntato molto su quel tipo di tensione. Si tratta di rappresentare l'angoscia del non sentirsi mai libera tra le proprie mura, l'aver paura dei propri desideri o di poter disturbare.