A conti fatti Pete Docter è un tipo buffo del Minnesota, dall'aspetto segaligno e la voce profonda, che è soltanto al suo terzo lungometraggio. Però ha vinto un Oscar (per Up) e ha ricevuto altre cinque candidature alla statuetta, per tacere degli altri premi. In tutto il mondo è considerato un geniaccio, anche solo per l'idea delle porte in Monsters & Co. E dopo aver visto Inside Out, non possiamo che ribadirlo, soprattutto poi dopo averlo ascoltato a Roma, per la presentazione del film.
Il primo concetto che il regista e sceneggiatore (e doppiatore, e produttore, e musicista...) ha tenuto a precisare è la conferma a quello che abbiamo pensato tutti: come Boo fu disegnata guardando sua figlia, così è stato per Riley: "Avere le emozioni come personaggi mi è venuto in mente osservano mia figlia Elie. Mi divertivo a immaginare a cosa stesse pensando, e ci riuscivo... fino a quando non ha compiuto 11 anni e ha iniziato ad essere scostante e a rispondere a monosillabi!". E come tutti abbiamo sempre saputo, questa è la prassi in quella officina di sogni digitali che è la Pixar: "Alla Pixar ci ispiriamo tutti alla nostra vita. Non c'è nulla che abbia influito su di me in maniera più profonda che essere un genitore. Guardo i miei figli e rifletto, cerco di elaborare anche qualcosa di me stesso. Una volta che i miei figli saranno grandi, non so cosa ne sarà del mio lavoro".
Una rappresentazione della mente umana
"Quello su cui sono stato molto chiaro fin dall'inizio è che non stavo rappresentando il cervello, ma la mente. Non si trattava di disegnare vasi sanguigni e cellule, ma qualcosa di più astratto, che è la mente con i suoi pensieri". Con il suo modo di fare affabile, Pete è anche molto perentorio e preciso sul suo lavoro. Il guizzo di emozioni di quando venne a Roma a presentare Monster & Co. si legge ancora nei suoi occhi, ma adesso è un uomo più sicuro, un professionista che conosce esattamente la portata del suo lavoro. "All'inizio abbiamo pensato che la metafora potesse essere un teatro, con il palcoscenico e il suo backstage, ma l'idea non funzionava. Allora abbiamo pensato a una nave, con gli alloggi per il comandante e per l'equipaggio, ma anche lì non funzionava. Cercavamo una metafora, qualcosa di concreto che fosse comprensibile a tutti". E siccome alla Pixar, come alla Disney, nulla viene lasciato al caso, ci sono stati anni di ricerche precedenti: "Abbiamo studiato Freud, Jung e altri. Non erano letture leggere, ma è stato molto interessante. Siccome però nessuno sa esattamente come funziona la mente umana, alla fine abbiamo scelto ciò che funzionava di più piuttosto che quello che era più fondato scientificamente. Abbiamo comunque imparato molto: diciamo che abbiamo realizzato una versione un po' più pop di Jung!".
Semplificare la mente umana: come sono nati i personaggi di Inside Out
"E se i sentimenti avessero dei sentimenti?". Docter dichiara di averlo letto da qualche parte a commento del suo film e di averlo trovato divertente. Perché era già stato chiesto "E se i giocattoli provassero dei sentimenti?" o "E se le auto provassero dei sentimenti?". "Quando scriviamo un film il nostro scopo è che il pubblico provi dei sentimenti", precisa il regista. E per far questo le ispirazioni sono state tante e di altissimo livello: da geni come Tex Avery e Chuck Jones ("Sono cresciuto con i loro cortometraggi, quelle animazioni mi scorrono nelle vene"), fino a Jack Kinney.
E alla domanda di una giornalista, conferma che i classici sono sempre la primaria fonte di ispirazione: "Illusion of Life, di Frank Thomas e Ollie Johnston, è come se fosse la Bibbia! I personaggi sono caricature di sensazioni, molto esagerate, ed è a quello che abbiamo fatto riferimento. I produttori mi hanno detto che se avessimo azzeccato il tono di questo film, avremmo realizzato la nostra versione dei sette nani. Ecco lo scopo: questi personaggi sono caricaturali, ma poi anche le loro opinioni".
Come i nani sono solo sette, anche per le emozioni non era così scontato ridurle a cinque: "All'inizio la testa era più affollata, poi ci siamo resi conto che non aveva molto senso avere tutti questi personaggi che andavano e venivano correndo, perché non si riusciva a tenere traccia di nessuno. Allora abbiamo preso Speranza e abbiamo attribuito le sue caratteristiche a Gioia: lei è la summa di alcune caratteristiche fondamentali dei sentimenti positivi". E in questo il colore ha aiutato moltissimo, dato che i personaggi sono quasi tutti monocromatici, tranne lei: "Abbiamo parlato con diversi scienziati e non abbiamo mai ricevuto la stessa risposta. Non c'è accordo sul numero di emozioni basilari che proviamo. Uno ci ha detto che sono 3, un altro 27. Il che per noi è stato comodo: potevamo inventare quello che volevamo. Nemmeno per i colori che ci fanno pensare a un'emozione c'era accordo, perciò ci siamo presi delle libertà. L'idea che Gioia fosse quella con più sostanza si riflette anche nella sua scala cromatica: lei è quella fatta di più colori, dà l'idea della complessità del personaggio".
Scene che restano nella mente: Inside Out è già un classico
Cosa fa di un lungometraggio di animazione un classico? La stessa cosa che rende un film qualunque un cult: scene, personaggi e sensazioni che restano dentro di noi. E così è già per Inside Out, con quella canzoncina delle gomme da masticare che "è stata tosta da realizzare! Alla fine siamo riusciti a scriverne una davvero molto brutta, che restava nella testa!" e la sequenza dei sogni. "Ci siamo solo chiesti da dove vengono tutte queste strane cose che sogniamo di notte. E ci è subito piaciuta l'idea di avere questi buffi personaggi con tempo e budget limitati a disposizione che si occupano della creazione dei nostri sogni". Ma alla fine, ciò che più conta, è che resti un messaggio: "Tutti noi vorremmo che i nostri figli fossero sempre felici, che avessero una vita serena, ma purtroppo non è sempre così, non è possibile che lo sia. Nella vita non c'è solo la gioia, ci sono delusioni e perdita, mille difficoltà e problemi. La ragione per la quale esistono queste altre emozioni, dalle quali cerchiamo di allontanarci, è che ci aiutano a vivere e ad affrontare tutto. Siamo cresciuti con i film Disney, amiamo la felicità e i sorrisi, ci piace il lieto fine, ma nella vita non è sempre così, ed è meglio insegnarlo subito ai nostri figli".
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