Raccontare una vita è sempre un processo insidioso. Se poi la vita in questione è quella della poeta Ingeborg Bachmann, la cosa si fa ancora più ardua. Margarethe von Trotta allora confeziona una pellicola solo nell'aspetto convenzionale per raccontare una donna assolutamente anticonvenzionale, almeno per l'epoca, un'anima libera e complessa che mai ha accettato di piegarsi a quelle imposizioni sociali che la volevano adattata ad un'esistenza che non l'avrebbe rappresentata, che avrebbe ingabbiato il suo spirito, la sua creatività e la sua essenza.
Ingeborg Bachmann - Journey into the Desert, presentato alla settantatreesima edizione della Berlinale, è un ritratto di libertà che cerca di rendere giustizia ad una delle autrici europee più influenti e importanti del secolo scorso, promuovendo una narrazione intima, raramente audace, che apre però spiragli su una serie di tematiche purtroppo ancora estremamente attuali e dibattute. In questa recensione cercheremo di metterle in luce raccontandovi di un film che cresce piano piano e che alla fine riesce sicuramente nell'intento di far scoprire (o riscoprire) un'autrice da noi troppo poco citata ma che, indubbiamente, ha avuto un peso culturale estremamente rilevante per la letteratura della seconda metà del '900.
Una trama non lineare
La trama di Ingeborg Bachmann - Journey into the Desert si dipana in modo non lineare, seguendo principalmente due piani temporali distinti che si alternano e che rappresentano due momenti intimi e importanti nella vita della protagonista: l'una la profonda crisi nata da una relazione deleteria, l'altra una rinascita, un periodo catartico e liberatorio.
Ingeborg Bachmann è una poeta e scrittrice affermata, una vera celebrità nel campo della letteratura, che una sera incontra a Parigi lo scrittore e architetto svizzero Max Frisch, anche lui molto conosciuto nell'ambiente. Tra i due nasce una relazione destinata a durare per diversi anni anche se problematica: l'uomo non riesce ad accettare la fama e le attenzioni che gravitano su Bachmann e proprio per questo diventa geloso, possessivo e autoritario. Dall'altra parte abbiamo un secondo filone narrativo in cui ci viene raccontato il viaggio di Ingeborg Bachman insieme ad Adolf Opel nel deserto egiziano.
Se nella prima linea temporale vediamo una donna in lotta per la sua affermazione, in fuga da una serie di costrutti sociali che non la rispecchiano, nella seconda conosciamo una Bachmann più autentica, complessa e libera.
Una narrazione poco moderna
Raccontare una donna attraverso le sue vicende sentimentali è forse retaggio di un vecchio modo di fare narrazione. Usare la vita amorosa come cardine di una storia ha spesso l'inconveniente di restituire un'esistenza a metà, un personaggio che sembra esistere solo se accanto a qualcuno. Non possiamo affermare purtroppo che questo non accada anche in Ingeborg Bachmann - Journey into the Desert: la figura di Bachmann sembra ruotare intorno alle sue controparti maschili, oppositori o alleati che siano, e questo le toglie in parte spessore. La condizione della donna, la sua libertà sessuale, lo sforzo per ottenere un trattamento paritario, sono tutte tematiche che invece vengono trattate con efficacia: la vita della poeta austriaca è raccontata con lo scopo preciso di far passare dei messaggi, di mostrare quanto questa donna così complessa ma con un'idea ben precisa di sé abbia usato, seppur con fatica, la forza della cultura e del suo intelletto per scardinare costrutti millenari, per liberarsi dolorosamente da una gabbia che le si stava stringendo intorno.
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Il deserto come luogo dell'anima
È a questo punto che il deserto diventa da tangibile a simbolico: un viaggio reale e un viaggio emotivo, un luogo non luogo dove riportare le lancette a zero, dove sanare delle ferite asciugandole sotto il rovente sole africano. Persino la fotografia modifica i suoi colori per permettere di rendere questo cambiamento: l'ocra della sabbia, il candore delle stoffe bianche e la vivacità dei vestiti leggeri contrastano con i colori freddi e asettici della porzione di storia ambientata in Svizzera, col rigore che contraddistingue la residenza romana della scrittrice, luogo molto amato che però è stato teatro di un periodo difficile, di una sofferenza profonda dovuta alla rottura col compagno Max Frisch.
L'eccellente prova di Vicky Krieps
Un elemento molto curato è quello della messa in scena che se, ad un primo sguardo, può sembrare molto classica in alcuni momenti regala immagini studiate nei minimi dettagli, quasi in modo maniacale, e profondamente simboliche. Da parte sua l'attrice Vicky Krieps, vista di recente ne Il corsetto dell'imperatrice, contribuisce con la sua interpretazione a rendere tutto questo possibile. Sempre misurata, mai sopra le righe, offre allo spettatore una Ingeborg Bachmann fragile e allo stesso tempo risoluta, una presenza che riempie qualsiasi scena: che sia una piccola stanza o un immenso deserto il suo carisma è in grado di prendere assoluto possesso dell'inquadratura dove lei è sempre al centro eppure mai ridondante.
Conclusioni
Tirando le somme della nostra recensione di Ingeborg Bachmann - Journey into the Desert possiamo affermare che il film di Margarethe von Trotta si prende sulle spalle l’arduo compito di raccontare la poeta e scrittrice del novecento. A fronte di una narrazione non proprio moderna abbiamo una messa in scena curata nei minimi dettagli dove il deserto diventa luogo dell’anime e l’attrice Vicky Krieps regala una Bachmann vera e complessa, una figura fragile e carismatica in grado di reggere l’intera opera.
Perché ci piace
- L’interpretazione di Vicky Krieps, misurata e carismatica.
- La messa in scena, curata nei minimi dettagli.
- La narrazione non lineare….
Cosa non va
- … che però risulta piuttosto vecchia nel modo di raccontare il personaggio.