Recensione Marigold Hotel (2012)

Un cast da manuale della recitazione sorregge un film che, pur sviluppando alcuni spunti insoliti nella sceneggiatura, ritrae un'India fin troppo folkloristica e non sfugge allo stile patinato tipico dell'autore di Shakespeare in Love.

India in Love

Il fascino esotico dell'India ha da sempre stuzzicato l'interesse della cultura occidentale, e in particolar modo di quella inglese, che ancora oggi continua a mantenere con la società indiana un intenso rapporto di interscambio. Il mal d'India dei britannici ha naturalmente finito con l'influenzare anche il cinema, sia quello del passato (si pensi alle spettacolari produzioni di Alexander Korda degli anni Cinquanta dalle atmosfere misteriose e favolistiche, ma anche a film più recenti come Passaggio in India di David Lean), sia quello di oggi (che tra l'altro riscopre la cultura indiana tramite registi figli di immigrati ormai naturalizzati come Gurinder Chadha). Il caso più eclatante degli ultimi anni è però quello di The Millionaire, che dimostra come l'immaginario folkloristico indiano, con le sue cromie avvolgenti e penetranti, esercita ancora oggi una potente attrazione nei confronti dell'Occidente. È per certi versi accostabile al pluripremiato film di Danny Boyle anche l'ultima fatica di un altro quotato regista britannico, John Madden: si tratta di Marigold Hotel, libero adattamento del romanzo These Foolish Things di Deborah Moggach (tradotto in Italia con Mio suocero, il gin e il succo di mango). I punti di contatto non si limitano solo al fatto che in tutti e due i film figuri nel cast Dev Patel, divenuto una star dopo il ruolo da protagonista nello Slumdog Millionaire di Boyle. Piuttosto, in entrambi i casi abbiamo a che fare con due opere che rielaborano la cultura locale a uso e consumo degli spettatori occidentali, con uno sguardo carico di fascinazione esotica per una terra difficile da decifrare e ricolma di suggestioni e influenze contraddittorie.


Anche per i protagonisti di Marigold Hotel - un gruppo di pensionati inglesi che, in vario modo insoddisfatti o impossibilitati a continuare a vivere nel loro paese natale, decidono di trasferirsi in una sorta di insolito residence per anziani a Bangalore - l'India assume dei significati ambivalenti e rappresenta quasi una meta spirituale e purificatrice piuttosto che una reale destinazione fisica. Per Graham (Tom Wilkinson), ex giudice della corte suprema britannica, è un ritorno ai luoghi dell'infanzia e dell'adolescenza, alla ricerca del suo primo amore (un ragazzo indiano condannato dalla sua comunità perché gay). Per Douglas (Bill Nighy) e Jean (Penelope Wilton), vecchia coppia ormai logorata e insoddisfatta, il viaggio costituisce un ultimo tentativo per dare una svolta al loro rapporto. Per la xenofoba governante in pensione Muriel (Maggie Smith) all'inizio l'India è semplicemente un posto dove ricevere delle cure mediche a poco prezzo, ma in seguito il Marigod Hotel si trasformerà per lei in un'occasione per tornare a rendersi utile. Infine, per l'impenitente Norman (Ronald Pickup) e la vivace Madge (Celia Imrie) è la ricerca di una seconda giovinezza; mentre per la vedova Evelyn (Judi Dench), appassionata di nuove tecnologie, incarna la possibilità di costruirsi una nuova vita.
Per questa comitiva di attempati ma arzilli ospiti The Best Exotic Marigold Hotel - così è definito dall'intraprendente e spigliato gestore Sonny (Dev Patel) - diventa, pur nel suo aspetto un po' fatiscente, quasi un luogo favolistico in cui possono avverarsi i desideri più reconditi, un territorio dell'anima dove è possibile finalmente conoscere la propria essenza e dare libero sfogo ai propri sentimenti. Una sorta di paradiso perduto, un po' come era l'India delle pagine di Rudyard Kipling, non a caso citato espressamente nel film.

L'autore di Shakespeare in Love e Il mandolino del capitano Corelli non rinuncia allo stile patinato e manierista che ha contraddistinto la sua precedente filmografia, proponendo allo spettatore numerosi scorci paesaggistici, costantemente inondati da una fotografia abbagliante e satura. Il film racchiude in sé l'immagine un po' stereotipata dell'India, esclusivamente frutto del punto di vista occidentale (e a dire il vero anche un po' neocolonialista): la miseria delle bidonville, il caos delle megalopoli, il cibo speziato, i matrimoni combinati, il proliferare dei call center, fino al kamasutra e al cricket. Tuttavia va detto che, pur non sfuggendo a una rappresentazione eccessivamente leziosa, la sceneggiatura firmata da Ol Parker (non certo priva di numerosi tocchi d'umorismo tipicamente britannico) riesce a sviluppare anche alcuni spunti più insoliti e innovativi, come quello relativo alla tematica omosessuale o all'alfabetizzazione informatica degli anziani, ma anche a gettare uno sguardo inconsueto e partecipato sulla questione dell'amore senile. Certo, non tutti i protagonisti sono dotati del medesimo approfondimento psicologico e non tutte le storie di quest'affresco corale risultano definite alla stessa maniera: i caratteri di Evelyn e di Graham sono quelli di gran lunga dotati di maggior sfumature (grazie anche alle magnifiche interpretazioni della Dench e di Wilkinson), mentre all'opposto Norman e Madge risultano semplicemente dei personaggi di contorno.

In ogni caso l'intera struttura narrativa di Marigold Hotel si sostiene pressoché interamente su delle solidissime fondamenta: vale a dire le interpretazioni di tutto lo strabiliante cast, vera e propria quintessenza della scuola attoriale inglese, che costituisce quasi un manuale della recitazione classica.