Recensione Second name (2002)

Si ripete anche qui lo stesso tormentone religioso a sfondo satanico-esoterico legato al rapporto padre-figlio che sembra essere il vero cavallo di battaglia del produttore Julio Fernandez.

Indagine esoterica

Un inspiegabile suicidio ed un'inquietante cospirazione religiosa sono al centro di Second Name, il nuovo thriller-horror spagnolo sfornato dagli stessi produttori di Darkness e dell'acclamatissimo The Nameless, l'ottima pellicola diretta da Jaume Balaguerò che arrivò in Italia un paio di anni fa - sempre nel periodo estivo - dopo aver fatto letteralmente rabbrividire gli appassionati e la critica mondiale, vincendo ovunque festival e concorsi di genere. L'autore del romanzo da cui è tratto il film è anche stavolta Ramsey Campbell, noto principalmente per il suo profondo legame con Lovecraft, la sua inquietudine religiosa e la passione per l'occulto dai risvolti macabri; il suo The Pact of the Fathers (ed. Tor/Forge) ha dato questa volta l'ispirazione per un film all'esordiente regista e sceneggiatore Paco (Francisco) Plaza, che sicuramente avrebbe potuto sfruttare meglio di quanto ha fatto l'occasione avuta per le mani.

Ma vediamo di che tratta la vicenda: il rapporto tra Daniella e suo padre Theodore è stato molto forte, una sorta di simbiosi indissolubile; lui un padre purtroppo spesso lontano per lavoro ma sempre amorevole con l'unica figlia, centro della sua esistenza, e lei una venticinquenne entomologa cresciuta venerando la figura del padre. Per questo motivo il suicidio dell'uomo ha fatto piombare la ragazza nella disperazione più totale che, dopo un iniziale momento di smarrimento, andrà alla ricerca di qualche indizio su cosa possa aver spinto l'uomo ad un simile gesto, per lo più in un particolare periodo dell'anno che per loro era davvero speciale: il compleanno di Daniella.
Scavando nelle ultime ore di vita di Theodore, e nelle origini degli strani episodi verificatisi subito dopo la sua sepoltura, Daniella scoprirà quello che nessuna figlia vorrebbe mai sapere del proprio padre, il rovescio della medaglia che le aprirà gli occhi su tutto ciò che per 25 anni aveva creduto essere la verità. L'uomo sarebbe stato un adepto della setta degli 'abramiti', fanatici cristiani rigorosi osservanti dell'Antico Testamento la cui regola basilare di adesione (sulle orme delle gesta di Abram) era il sacrificio del primogenito. Ora però la questione da scoprire è un'altra perché secondo questa nuova realtà Daniella, essendo la primogenita dei Logan, dovrebbe essere morta in sacrificio. Tutto ciò sta a significare che c'è qualcos'altro dietro la pazzia di sua madre e il suicidio di suo padre e lei vuole scoprire al più presto e ad ogni costo di cosa si tratta...

Si ripete anche qui lo stesso tormentone religioso a sfondo satanico-esoterico legato al rapporto padre-figlio ben sfruttato nei due thriller citati all'inizio, e che sembra essere il vero cavallo di battaglia del produttore Julio Fernandez, proprietario insieme al visionario Brian Yuzna (regista e produttore di veri e propri capolavori del cinema gore-horror come gli insani Re-Animator 2 e The dentist) della casa di produzione 'Fantastic Factory' dedicata interamente all'horror-thriller.
C'è da dire anche che le atmosfere ricordano molto quelle di The Nameless a partire dalla pioggia incessante, alle riprese buie e fredde, ai tristi flashback sull'infanzia di Daniella rievocata da una commovente videoproiezione, ed ancora le torture feroci inflitte dalla setta ed i sottofondi musicali di canti gregoriani; insomma un déjà vu. Proprio per questo, Plaza avrebbe dovuto in qualche modo dare un'impronta personale con una regia fantasiosa e sfiziosa che purtroppo ha mancato. Non è stato sicuramente all'altezza di Balaguerò, dimostratosi al contrario un mago nel trasmettere al film lo stesso ritmo incalzante del libro; per arrivare a questo livello, e a quello dell'altro suo celebre connazionale Amenàbar (The Others, Tesis, Apri gli occhi), dovrà fare ancora molta strada.

In definitiva Second Name risulta un film lento e poco fluido, scandito dalle inutili pause di introspezione di un personaggio (quello di Daniella) mai entrato veramente nel vivo della storia, e che non riesce mai a coinvolgere né se stessa né lo spettatore nella vicenda; la sua recitazione è quanto di più piatto e insulso si sia mai visto in un thriller.
Insomma, si sonnecchia per tre quarti del tempo, forse anche perché il film è stato girato completamente in inglese adattato da una sceneggiatura scritta interamente in spagnolo perdendo per strada gran parte dell'efficacia delle battute originali. Un vero peccato perché il soggetto di Campbell non è niente male, non manca di colpi di scena ed avrebbe potuto, in mani più esperte, tenere letteralmente incollati alle poltrone dal primo all'ultimo minuto. Devono essersi messi proprio di impegno per non riuscire a far mai decollare una storia del genere per molti versi simile a quella che lanciò nel lontano 1968 il grandioso talento acerbo di Mia Farrow in Rosemary's Baby - Nastro rosso a New York, grande capolavoro di Polanski che costituisce insieme a L'esorcista, Omen - Il presagio e a qualche altro sporadico esempio uno dei migliori film in assoluto del genere demoniaco.
Se volete dormicchiare in sala al fresco dell'aria condizionata Second Name è quello che fa per voi.

Movieplayer.it

2.0/5