In nome di mia figlia: la tragica ossessione di un padre

Vincent Garenq porta sul grande schermo la vera storia della battaglia legale di André Bamberski, avvalendosi di un intenso Daniel Auteuil.

Una ragazza che muore improvvisamente, mentre era in vacanza con sua madre e il patrigno. Suo padre che non si ferma alle apparenze, che sospetta un omicidio. Che, seguendo l'intuito e delle prove assolutamente indiziarie, non si arrende e riesce a dimostrarlo. E poi ancora, nel corso di ben trent'anni, lotta senza sosta perché la giustizia venga applicata. È la storia di André Bamberski, tristemente nota in diversi paesi europei, pressoché sconosciuta in Italia, che ha improvvisamente saputo che la sua adorata figlia Kalinka era morta e immediatamente ha sospettato ciò che per un genitore è insostenibile: omicidio con stupro.

In nome di mia figlia: Marie-Josée Croze, Sebastian Koch e Daniel Auteuil in una scena del film
In nome di mia figlia: Marie-Josée Croze, Sebastian Koch e Daniel Auteuil in una scena del film

Da quel giorno la vita di Bamberski è cambiata: ogni sua energia, ogni risparmio, ogni studio o ricerca, ogni atto è diventato volto a far sì che l'omicidio e l'abuso su sua figlia venissero attribuiti al patrigno, colpevole, e poi che la legge applicasse regolarmente la pena. Questo è un film sulla sua ossessione, sulla sua perseveranza, sulla sua lotta indefessa.

Un regista avvezzo a tematiche legali

In nome di mia figlia: Sebastian Koch e Daniel Auteuil in una scena del film
In nome di mia figlia: Sebastian Koch e Daniel Auteuil in una scena del film

"Non mi danno il permesso di girare nelle vere aule di tribunale, non posso entrarci", racconta Vincent Garenq alla presentazione romana del film. Questo perché il regista, in Italia già noto per la commedia Baby Love, non è nuovo a tematiche legali, per la precisione giudiziarie. Venuto dalla TV, ha diretto Présumé coupable nel 2011 e L'Enquête nel 2014, e si è fatto le ossa con quelle che sono le modalità della giustizia. Prima tanti documentari, soprattutto per la televisione, il che si sente forte e chiaro anche in questo In nome di mia figlia, racconto piuttosto pedissequo della battaglia giudiziaria intrapresa a Bamberski, cronaca che lascia pochissime concessioni al sentimento e al sensazionalismo. È il pudore il concetto che sostiene questo film. Il rispetto per la volontà di tutti i personaggi, persino della moglie e del figlio maschio di Bamberski.

In nome di mia figlia: Daniel Auteuil in una scena del film
In nome di mia figlia: Daniel Auteuil in una scena del film

"Né Vincent Garenq né io avremmo sopportato di fare un film intriso di buoni sentimenti", ha dichiarato Daniel Auteuil, protagonista del film. "André Bamberski non lo avrebbe senza dubbio sopportato. È un uomo di grande ritegno". E basandosi su questo pudore, il regista ha impiegato un anno a montare questo film, perché fosse sfrondato da ogni emozione superflua, da sensazioni che magari avrebbero strappato una lacrima, un moto di rabbia, la pena o la compassione, in favore di un racconto che in effetti si avvicina moltissimo al racconto documentaristico nello script, non certo nello stile di ripresa o nel linguaggio cinematografico, ricercatissimo.

In nome di mia figlia: Marie-Josée Croze, Sebastian Koch e Daniel Auteuil in un momento del film
In nome di mia figlia: Marie-Josée Croze, Sebastian Koch e Daniel Auteuil in un momento del film

Le spalle larghe di Daniel Auteuil

Si regge tutto sulle spalle di Auteuil, questo film che vuole assolutamente indicare una strada per tutte le vittime di crimini pesantissimi come l'abuso sessuale o l'omicidio. È un film che infonde forza, che invita a non demordere, a pretendere che la giustizia venga applicata a ogni costo. Una pellicola che vuole sottolineare quanto sia sbagliato farsi giustizia da soli, e quanto sia invece importante, fondamentale, insistere senza mai mollare la presa. L'attore francese è assolutamente straordinario: la sua è un'interpretazione misurata, intimista, che si modula con gli sguardi e i toni di voce sempre pacati, fermi, decisi ma mai rabbiosi. Ammette di aver letto il libro autobiografico di Bamberski, ma di non averlo voluto incontrare prima delle riprese: "Mi sarei portato dietro la sua sofferenza e sarei stato meno libero nella mia interpretazione". Poi però racconta di essersi sentito sollevato il giorno che Bamberski ha fatto visita sul set: "Ha assistito a una scena e, in quel momento, ho visto il suo sguardo che aveva capito che ciò che facevo del suo personaggio sarebbe servito a lui, come padre e scrittore di questa storia".

Pudore o emozioni? Fino a che punto?

In nome di mia figlia: Marie-Josée Croze e Daniel Auteuil in una scena del film
In nome di mia figlia: Marie-Josée Croze e Daniel Auteuil in una scena del film

"La sobrietà non eclissa mai l'emozione", ha dichiarato Daniel Auteuil sempre parlando di In nome di mia figlia. Su questo punto però non ci troviamo veramente d'accordo. Perché se è vero che il film è il racconto di un'ossessione e non di un delitto, di una battaglia giudiziaria e non di un medico che abusava delle giovani donne, è anche vero che dietro ogni istruttoria ci sono le persone. È della vita delle persone che si occupa la legge. E in tutto questo rispettare le parti in causa, gli imperdonabili atti che hanno composto il reato rischiano di finire in secondo piano rispetto alla lentezza della giustizia e alla diatriba internazionale. Chi diventa figurina sbiadita in questo album di ricordi è proprio la piccola Kalinka, in nome della quale tutto quanto è stato fatto. Specialmente in una paese come l'Italia, in cui nulla si sa di questo caso internazionale tra Francia e Germania, si rischia davvero di venir fraintesi.

Movieplayer.it

2.5/5