In mani sbagliate
Realizzare un film senza soldi in Italia è un'operazione che può condurre facilmente alla catastrofe, a differenza di quanto avviene all'estero, con piccole pellicole che spesso si rivelano gioielli da custodire e dai quali c'è solo da imparare. Il fatto è che a fronte di una mancanza di fondi ciò che dovrebbe essere forte per rendere un prodotto riuscito è certamente l'idea, la scintilla, il brivido che può regalare anche una storia minima. Di idee dignitose da queste parti, però, neanche l'ombra, perché i cineasti italiani che lamentano continuamente una fame terzomondista sono ancora convinti che se non ci sono i soldi, ci resta pur sempre l'amore. Perciò si moltiplicano le pellicole con la solita coppia di innamorati che partono tubando come piccioncini, per poi ritrovarsi dopo un po' in una crisi perenne dalla quale è complicato uscire, determinata dai motivi più disparati, che vanno dall'insoddisfazione personale alle più classiche e divertenti corna, dalle difficoltà economiche alle carenze affettive in ambito familiare. Peter Del Monte mette insieme tutto questo nel suo film fieramente indie, scarno a livello tecnico e contenutistico, ma che non si lascia scappare l'occasione di fornire l'ennesima rappresentazione deprimente della donna votata all'isteria.
Nelle tue mani comincia col più classico degli stratagemmi che cerca di illuderci su come l'amore sia un fatto di coincidenze: l'incidente rivelatore. I due protagonisti della storia sbagliata d'amore del film si incontrano così, con un botto che forse stordisce entrambi, illudendoli, e da lì per loro parte un lungo percorso insieme. Nelle ellissi dell'opera, sempre coraggiose, ma quasi mai riuscite, in questo genere di prodotti che abbraccia un arco temporale abbastanza lungo, si cela tutto quello che porta i due a decidere di sposarsi e di mettere al mondo una bambina, e si da atto al regista di avercelo risparmiato. Si presume l'amore, ma quanto suona fasullo l'incanto tra persone così diverse, lui astrologo perfettino dalla dizione sublime che maneggia con saggezza il caos dell'universo, lei ragazzetta selvaggia di origine slava che sembra non trovare mai pace in ciò che fa. Nessun dubbio sul destino della coppia, che viene travolta dagli eventi (o meglio dall'impazienza e dal bisogno inappagato di viversi per vivere) ed esplode, col gran baccano di urla e gesti avventati che ne consegue. La banalità dell'allontanamento richiede però lo spazio necessario ad un possibile sfiorarsi ancora, perché la vita non si sa mai cosa può riservare.
Le nevrosi di noi italiani sembrano avere intaccato anche gli stranieri innestati nel nostro territorio. Così Kasia Smutniak, nei panni di una donna sempre un passo oltre l'orlo di una crisi di nervi, mastica tutto sommato un buon italiano e si concede lo scomodo lusso di assomigliare alla peggiore donna nostrana troppo spesso portata sullo schermo: isterica, impaziente, incontentabile, madre inadeguata ad un passo dal delirio. La possibilità di farne una Franzoni è scartata subito però da Del Monte, che pur suggerendo una naturale impossibilità della ragazza ad assumersi le necessarie responsabilità di madre, le concede comunque qualche momento di tenerezza con la propria figlia che la fanno apparire meno mostruosa. E se lo smantellamento nel film dell'ipotesi aborto è più innocente di quanto sia possibile credere, di certo restano poco plausibili gli spiragli positivi che il regista lascia penetrare nella storia, con tanto di rassicurazione finale che inneggia alla vita nonostante tutto.
Del Monte gira in digitale e senza mezzi un film impalpabile di cui ci sfugge il senso o è forse più chiaro di quanto sembrerebbe: mettete uno psicologo vicino ad ogni donna e forse riuscirete ad avere con lei un rapporto normale, evitandole di compiere danni irreparabili. Quello più grave messo in atto dalla protagonista è far capitolare nel ridicolo il film proprio nella parte finale, con una relazione usa e getta al limite della pedofilia che porta a nuova vita, data alla luce con testardaggine, nonostante l'incapacità di badare prima di tutto a sé stessa. Il regista forse non si rende conto che quanto sta mostrando non funziona, sfiora temi troppo grandi e non sa parlarne, e i personaggi finiscono ingabbiati in primi piani carichi di angoscia e smarrimento, mentre tutto il resto rimane fuori, ai margini di due storie che insieme non riescono a farne una degna di essere raccontata. Tutto quello che finisce nel quadro viene trascinato in un buio difficilmente districabile, e la storia sfugge di mano a Del Monte, così come il suo protagonista non riesce più a tenere sotto controllo l'improvviso disordine di un universo slabbrato che sembra frantumare le sue certezze. E a smarrirsi è anche lo spettatore, che al cinema meriterebbe sempre cinema.