Parlare con gente della Pixar è sempre un piacere, perché, dagli animatori ai vertici dello studio, tutti comunicano la stessa cosa: passione infinita per il proprio lavoro. E non è una sorpresa, perché la stessa carica emotiva emerge anche dai fotogrammi dei loro film, rendendoli tutti, dal primo all'ultimo, dai grandi capolavori ai meno riusciti, unici e inimitabili.
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L'ultima prova di questo sorprendente aspetto ci è arrivata un mesetto fa, in occasione della Festa di Roma e della retrospettiva dedicata alla Pixar, che ha visto tra i suoi eventi più importanti la masterclass di Kelsey Mann, Story Supervisor dell'ultimo film Pixar, Il viaggio di Arlo, nelle sale italiane dal 25 Novembre, a poco più di due mesi dall'ultimo gioiello firmato dallo studio e presentato lo scorso maggio a Cannes. Proprio a Roma abbiamo avuto la possibilità di scambiare quattro piacevolissime chiacchiere con Mann, facendoci raccontare in anteprima i presupposti, ma anche i retroscena e le curiosità, del film, che racconta l'amicizia tra Arlo e Spot, tra un dinosauro e un piccolo cucciolo di uomo in un mondo alternativo in cui il famoso asteroide non ha colpito la Terra 65 milioni di anni fa.
L'amicizia e la crescita
Da cosa siete partiti per costruire la storia de Il viaggio di Arlo?
L'idea di base in questo caso è stato di voler fare qualcosa di interessante partendo dalla classica storia del ragazzo e del cucciolo, ma rovesciata. Di realizzare qualcosa di già fatto prima, ma in modo originale. Ci siamo chiesti cosa sarebbe successo se l'asteroide avesse mancato il colpo. Ogni volta che realizziamo un film ne pensiamo tante versioni diverse, per scegliere poi l'approccio che sia giusto per il singolo progetto. Avremmo potuto avere, per esempio, dinosauri che guidavano l'auto, ma sarebbe stato troppo. Non volevamo che disponessero di tanta tecnologia, ma piuttosto portarli in quelli che erano i tempi della frontiera, un'epoca con rancher, agricoltori, contadini... e ci auguriamo che questa nostra percezione arrivi.
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Spesso la Pixar inserisce un momento in cui i protagonisti sono lontani da dove dovrebbero essere. Spesso tutto il film è questo e Arlo sembra rientrare in questa impostazione. Cosa interessa allo studio nel mettere in scena questo tipo di situazione?
Quello che è interessante, che è il cuore del film, è il rapporto tra il ragazzo e il cane e abbiamo cercato di raccontare questo. In questo tipo di storia i bambini sono nella fase di transizione tra la fanciullezza e l'età adulta e per questo abbiamo voluto che anche Arlo fosse in questa fase della crescita. In molte culture i ragazzi per diventare uomini vengono mandati nella foresta solo con un bastone e gli viene detto "Vai e torna uomo". Per questo abbiamo immerso Arlo in questa avventura.
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Costruire il mondo di Arlo
Conosciamo il grande lavoro dei film Pixar, che studi avete fatto in questo caso trattandosi del mondo dei dinosauri?
Io lavoro nel dipartimento che si occupa della storia e facciamo diversi tipi di ricerche, una delle prime cose che facciamo è uscire e andare nelle location reali. Per esempio non mi sono mai occupato di bestiame, come potevo raccontare questo aspetto? Dopo le nostre ricerche, Peter Sohn e io avremmo potuto realizzare un film intero solo su quello e non sono un cowboy. Questo è quello che facciamo, andiamo sul posto e verifichiamo i vari elementi. Per esempio il reparto artistico va a valutare anche dettagli come il colore della polvere. Noi che ci occupiamo della storia andiamo in giro e cerchiamo di vivere quelle che sono le sensazioni. Per esempio siamo andati davanti a una montagna altissima e ci siamo resi conto di quanto siamo insignificanti come esseri umani al suo cospetto, infatti uno dei luoghi principali in cui ci rechiamo è dentro noi stessi, per capire cosa proviamo. La prima cosa che analizziamo è la nostra vita, quello che provavamo in situazioni e età simili a quelle dei personaggi, per arrivare alla verità e creare una storia con cui tutti possano identificarsi. I film che preferisco sono quelli in cui i realizzatori sono stati onesti, mettendo se stessi sullo schermo, con sentimenti veri e autentici.
Un aspetto importante è che si tratta di dinosauri erbivori. C'è un messaggio in questo?
Molti sono stati i film sui dinosauri e noi volevamo fare qualcosa di mai fatto prima. Per noi in realtà non è una storia di dinosauri, ma un film sul rapporto ragazzo/cane. Che Arlo sia anche un dinosauro è solo secondario e tutto si riduce ad avere un personaggio a cui tenere.
Come avete lavorato al look del film?
Il look del film è fantastico. Io mi occupo della storia, ma inizio dal disegno che poi diventa una bozza che passa in altre mani, di persone molto più capaci di me. Ogni volta resto senza parole per quello che riescono a fare gli altri dipartimenti.
È affascinante che il film sembri un western classico. Le vostre ricerche riguardano anche la storia del cinema?
Non era l'intenzione iniziale, ma quando io sono stato coinvolto questa è stata una delle prime cose che il regista mi ha detto, l'idea era già diventata questa. Come lo si fa poi è tutta un'altra storia! E noi non lasciamo nulla di intentato mentre cerchiamo di definire un progetto di questo tipo, ipotizzando anche delle cose folli, per esempio abbiamo anche creato un saloon.
La sfida, tecnica e narrativa
Dal punto di vista tecnico è evidente un ulteriore passo in avanti, per esempio per l'acqua. È stato difficile?
Sì! Non per me, io mi limito a disegnarla, ma è molto difficile far interagire uno dei personaggi con l'acqua, come capita ogni volta che Arlo cade nel fiume. I tecnici ci dicevano "Lo dobbiamo proprio fare ancora? Lo abbiamo già fatto due volte nella storia!" Non so se ricordate il film Duel, quello che vediamo è sempre lo stesso pezzo di autostrada riproposto più volte in modi diversi, qui hanno realizzato solo un piccolo frammento del fiume e lo riutilizzavano. Per fare un esempio del lavoro che c'è dietro, la scena in cui Arlo viene trascinato dalla corrente è stata la prima ad essere realizzata, la prima ad essere messa in produzione, proprio perché così complessa. E da lì siamo partiti. Il capo della squadra effetti speciali è stato bravissimo, perché in genere sono elementi che fungono da supporto, mentre in questo film sono stati messi spesso in prima linea. Un altro esempio è la scena in cui le nuvole si chiudono e oscurano il sole, è stata difficilissima ma quando abbiamo visto il risultato siamo stati soddisfatti. Era proprio quella l'inquadratura che cercavamo.
Ci dici qualcosa sulla sfida di creare una storia su un'amicizia tra due personaggi di cui uno dei due non può comunicare?
Sapevamo dall'inizio che avremmo realizzato un film con pochi dialoghi, perché Spot non può parlare. Questo però ha presentato molte più sfide di quanto ci aspettassimo. Spesso nei film per bambini ci si infilano tanti dettagli, tanto ritmo e frenesia, ma noi invece volevamo che fosse un film tranquillo, riflessivo, ma farlo è difficile perché non hai niente dietro cui nasconderti, è tutto lì sullo schermo!
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