In Adam the First (Il viaggio di Adam, secondo il titolo scelto dalla distribuzione italiana) si respira tutto il cinema indie americano. Una geografia umana e paesaggistica, l'utilizzo dei colori, l'introspezione dei personaggi, le scelte musicali, la composizione delle inquadrature. Tutto, suggerisce quanto il regista e sceneggiatore Irving Franco sia propenso all'uso e al consumo di una storia ben radicata rispetto a un certo immaginario, ma non esente da un'originalità che si definisce al meglio solo durante i titoli di coda.
Perché sarà poi il finale a dare un altro senso al film, sorprendendo per scrittura e poesia. Ribaltando di netto un'epopea palindroma. Con una particolarità: il fugace utilizzo di David Duchovny per fini promozionali - dal trailer alla locandina - funge solo da pretesto, in quanto la sua presenze, pure fondamentale, è decisamente limitata nello spazio e nel tempo (ma propedeutica per catturare un minimo di attenzione). Tuttavia, Adam the First, arrivato distrattamente in pay-per-view, merita un'occasione. Se non altro, per apprezzare, di nuovo, la bravura del giovane protagonista, Oakes Fegley, dopo averlo visto nel sottovalutato Il cardellino di John Crowley.
Adam the First: un viaggio alla scoperta di sé
Fegley interpreta appunto Adam, un ragazzino di quattordici anni che vive in una roulotte insieme a quelli che chiama papà James (David Duchovny) e mamma Mary (Kim Jackson Davis). Si perché all'inizio del film, come vediamo in un veloce flashback, ci viene detto che Adam è stato abbandonato dal suo vero papà, e quindi trovato e poi cresciuto da James. In seguito ad un evento drammatico, e ben poco collegato alla sceneggiatura (ma tant'è), Adam decide di incamminarsi alla ricerca del suo vero padre, attraversando lo schema rurale e spesso brutale del Mississipi.
Lo spirito indie di Irving Franco
Dietro Il viaggio di Adam c'è la voglia sincera da parte di Irving Franco (che torna alla regia quasi dieci anni dopo Cheerleader) di raccontare, nel modo più semplice e diretto possibile, una storia. Come? Andando dritto verso l'obbiettivo, senza mollare la presa, senza rinunciare ad un buon ritmo e sfruttando al meglio il materiale cinematografico a disposizione. Come la musica, per esempio, da lui composta, che alterna le sonorità jazz a quelle folk. Tra l'altro, nel film, se superiamo la declinazione biblica del titolo originale, non c'è nessuna demarcazione politica (sarebbe stato facile, vista la location) né sociale: bensì, l'opera risulta come fosse un chiaro percorso di consapevolezza da parte del protagonista, senza lesinare un certo surrealismo che, a tratti, sembra addirittura sfociare nel realismo magico.
Del resto, il Mississipi è terra mistica, e quindi perfetta per quella serie di incontri che Adam si ritroverà ad affrontare, aggiungendosi ad un panorama cinematografico a tratti forse ingenuo, ma anche splendente e suggestivo nel doppio percorso di ricerca. Adam cerca il suo vero padre (aprendo ad una riflessione sulla paternità stessa) e quindi la propria identità, mentre il regista cerca invece di raccontare quanto la nostra volontà sia più forte di qualsiasi ostacolo e, per assurdo, sia addirittura più forte dei nostri legami di sangue.
Conclusioni
Un viaggio a tutti gli effetti quello pensato da Irving Franco per Adam the First, arrivato distrattamente in pay-per-view. Il film, comunque, merita una visione: se non fosse per la bravura di Oakes Fegley, per la location - il Mississippi - e per la fugace comparsata di David Duchovny. Una buona colonna sonora, composta dallo stesso regista, poi fa il resto, dando all'opera una dimensione calda e, a volte, anche magica.
Perché ci piace
- Irving Franco dimostra di essere un buon regista.
- La bravura di Oakes Fegley.
- La location sempre efficace.
- Il finale.
Cosa non va
- A volte il film gira a vuoto.
- Chi vuol vedere il film solo per David Duchovny resterà deluso.