Il triangolo no!
"Il triangolo no, non l'avevo considerato...".
Chiunque si cimenterà con l'opera terza di Emmanuel Mouret, Cambio di indirizzo, non potrà almeno per un momento sentirsi risuonare questo vecchio adagio nelle orecchie.
Quella che la distribuzione italiana ha definito come "una fantasia amorosa del regista", è in effetti una commedia lievemente dolceamara, in cui si incrociano i destini sentimentali di un uomo e due donne, sparigliati improvvisamente dall'arrivo di una seconda figura maschile. E, si sa, l'arrivo di un secondo gallo nel pollaio non è mai foriero di pace e tranquillità.
Il tema che domina sottilmente tutto il testo filmico è quello della goffaggine. L'esser goffi ha, per sua stessa ammissione, affascinato il regista lungo tutto il corso della sua carriera: "Quel che mi piace dei personaggi goffi di Keaton, Tati ed Allen è che quando cadono, quando la vita gli pone delle avversità, si rialzano e continuano a vivere serenamente".
Sono queste parole del regista a riassumere lo spirito della pellicola, un divertissment e poco più, incentrato proprio su questa incomprensibile tenacia del protagonista, un insegnante di corno che si innamora di una propria alunna, che nonostante sia teso a lei in modo totale e disperato, se la vede soffiare da un rivale incrociato per caso una sera, e, dopo averla riconquistata in modo (quasi) definitivo, non può far altro che assistere ad una sua nuova scomparsa.
A complicare la già non di per sé semplice faccenda, è la coinquilina di David - questo il nome del protagonista, interpretato dallo stesso Mouret - bionda, affascinante e bella, ma altrettanto svampita, che condivide l'appartamento in modo piuttosto 'libero'.
Una classica commedia romantica degli equivoci, leggera quanto basta per condurre lo spettatore a tifare per le sorti del malcapitato David, ma altrettanto insipida, troppo debole da porsi se non come un film-per-una-sera, da gustarsi serenamente ma anche da scordarsi di lì a poco.
Variety ha azzardatamente accostato la pellicola e, di conseguenza, il suo regista, ad Allen e Rohmer. Ma di Allen manca il ritmo, il brio, come anche la battuta al vetriolo adatta a spezzare e rilanciare narrativamente il testo. Di Rohmer è del tutto assente la ricerca polisemia all'interno del genere, essendo Cambio d'indirizzo esattamente un film di genere, che all'interno del genere nasce e muore, non cercando di esplorare più territorio di quello che sia strettamente necessario, né provando o avendo l'intenzione di innovare in alcun modo.
Mouret, in sostanza, non mette in scena un brutto lavoro. La sua pellicola si fonda su una buona interpretazione dei suoi attori, e su uno script lieve e fresco, e poco altro. Ne esce dunque un film sicuramente non da bocciare, ma che verrà scordato nel tempo necessario ad una visione.