Di coincidenze e di strane realtà. Guardando al cinema di Andrea Arnold, per affrontare una personale ed essenziale visione che ragiona sulle immagini e sulle parole. Dopo Amanda, Carolina Cavalli dirige la sua opera seconda, Il rapimento di Arabella. Un titolo che è tutto un programma: Arabella, nome d'altri tempi, quasi carolingio, epico come nelle gesta di un romanzo cavalleresco, ispirazione per Richard Strauss per l'opera lirica del 1933. E poi quel rapimento, un gesto forte che riporta ad un grande racconto, a quei punti di contatto tra il classico e il nuovo.

Proprio come viene strutturata la narrazione (a firmare lo script la stessa regista), capace di districarsi da ogni tipo di etichetta. Un film magico, quasi inafferrabile e per questo riuscito (e non avevamo dubbi). Presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 82, Il rapimento di Arabella è la dimostrazione che un certo cinema in Italia si può e si deve fare, e che di (nuovo) talento in giro ce n'è, basterebbe solo dare ad esso la giusta fiducia.
Il rapimento di Arabella, la trama: in cerca di sogni perduti

Quella fiducia che non ha Holly (Benedetta Porcaroli), 28 anni, che pensa di "essere la versione sbagliata di se stessa". Indolente, pragmatica, sperduta in un luogo indefinito e indefinibile. (grande lavoro Martino Bonanomi alla scenografia). Mentre mangia una porzione di patatine nel parcheggio di un decadente fast food, incontra una ragazzina, Arabella (Lucrezia Guglielmino, una folgorazione) "sfuggita" allo chauffeur del papà scrittore (Chris Pine). Holly è convinta di aver trovato la versione bambina di sé. Del resto, è certa: i buchi spazio-tempo stanno aumentando, creano casini. La bambina di tornare a casa non ne ha voglia, e dunque sta al gioco della ragazza, sicura di poter finalmente riscattarsi e, chissà, realizzarsi. Cogliendo l'occasione persa anni prima: diventare una ballerina.
Il tema della solitudine
Il rapimento di Arabella è riempito di personaggi splendidi e fallibili, di spazi assurdi senza nome, di viaggi picareschi nel cuore di una geografia che non prevede punti di riferimento. Carolina Cavalli, come già fatto con Amanda, continua ad affrontare solitudine e isolamento per mezzo di un tono quasi beffardo e sfacciato, imperturbabile in un'apertura poetica dalle digressioni imprevedibili.
A metà tra Assassini Nati e Thelma & Louise, romanzo di formazione disfuzionale che esalta la scrittura applicata alla messa in scena. E se il calo del film, ad un certo punto, è forse fisiologico, tra capre sorde e pizze fredde, l'andirivieni di Holly e Arabella è dettato dal montaggio di Babak Jalali (regista e amico della Cavalli, che ha diretto lo splendido Fremont da lei scritto) e dalla musica di Thomas Moked Blum e Noaz Deshe.
Tra Calvino e Chever
Nel film ci sono i colori del tardo pomeriggio, di "quando la vita era bella", in un riflesso che con coraggio, decisione e un filo di rabbia affronta i sogni fallibili, ricuce i ricordi, guarda letteralmente in faccia l'occasione perduta e poi ritrovata, in uno spunto appunto dove la vita giusta è solo immaginata. Dietro Il rapimento di Arabella sembra esserci Calvino, Chever e quel sentimento "diffuso" che ci porta, oggi, ad affrontare (e forse coccolare) le nostre esistenze irrisolte.

C'è l'altrove nel cammino delle due protagoniste, ci sono le smorfie di una commedia umana e quotidiana, accarezzando e ascoltando un'ansia che urla, da "calmare" rielaborando il passato per lasciarlo, finalmente, andar via. Solo così, pensa Carolina Cavalli - lo spunto è arrivato dalle riflessioni trovate su Reddit -, si può far pace con se stessi, abbracciando il proprio "lato sbagliato". Del resto, c'è poco da fare: nulla torna, tanto vale continuare a guardare la luna, che tanto oggi è già domani. Il rapimento di Arabella, che gran bel film.
Conclusioni
Carolina Cavalli, all'opera seconda, si conferma un'autrice decisamente interessante. Narrazione e poesia, il viaggio e la solitudine, la scoperta di sé, la crescita e la consapevolezza. Seguendo il cammino magico e rivelatorio di Benedetta Porcaroli e Lucrezia Guiglielmino, splendida coppia protagonista. Un racconto quasi inafferrabile, luminoso e pieno di vita.
Perché ci piace
- Il tono generale.
- Le protagoniste, splendide.
- Il finale.
- Una narrazione poetica.
Cosa non va
- La parte centrale pare perdere i giri.