Il primo figlio e la maternità (da incubo) secondo Mara Fondacaro

"Il miglior cinema deve saper porre le domande, andando oltre la rassicurazione": la nostra intervista alla regista, che ha portato il suo esordio in anteprima al Festival di Pesaro.

Mara Fondacaro insieme alla segretaria di edizione Sabrina Viggiano sul set

Come un sogno. O come un incubo. Sfruttando la fotografia di Fabio Paolucci, la regista Mara Fondacaro - partenopea, classe 1994 - costruisce il suo film d'esordio partendo "dalle paure inconfessate di una madre rispetto alla gravidanza". Presentato in anteprima al Festival di Pesaro, Il primo figlio racconta infatti di Ada e Rino (Benedetta Cimatti e Simone Liberati), coppia che vive in una villa sperduta nei boschi. Un non-luogo, come lo definisce la regista, perfetto per enfatizzare la struttura. Ada è incinta, ormai al nono mese, ma il ricordo del primo genito, tragicamente scomparso, sembra non lasciarle fiato, trovandosi al centro di un incubo vivido e pulsante.

Il primo figlio: intervista alla regista Mara Fondacaro

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Maria Fondacaro e il ciak de Il primo figlio

"Quando parlo del film, penso ad un incubo di novanta minuti", ci dice Mara Fondacaro, al telefono, durante la nostra intervista. "Scrivendo il film, ricordavo spesso una canzone di Marracash, ovvero Crazy Love, che dice 'chi si immerge in un sogno ci annega'. Per me, quello che vivono Ada e Rino è un grande incubo. C'è confusione, tra ciò che è vero e ciò che non lo è. I colori del film ricordano la notte. E l'unica scena che ha altri colori ha a che fare con la realtà".

L'altro elemento centrale de Il primo figlio riguarda la scenografia (Rossella Tilli): uno spazio angusto, in cui la luce si affoga nelle ombre. "Anche i luoghi sono tutti nella mente di Ada", prosegue la regista. "È un film claustrofobico, e mi piaceva si vedessero paesaggi sconfinati, dando la sensazione di disparità rispetto ai mondi: un mondo esterno enorme, uno più intimo che sembra schiacciare la protagonista".

Il Primo Figlio Immagine
Benedetta Cimatti e Simone Liberati

Anche il rumore che avvolge le scene gioca un ruolo cruciale. "Ho parlato con il compositore, Alessandro Ciani, perché non volevo un suono musicale, ma una commistione di rumori. È tutto nella testa di Ada. E quindi il fulcro era storpiare i rumori, come una suoneria distorta che gracchia. Sono suoni della mente. Sono storpiature dei ricordi, e poi ci sono suoni che non esistono, in quanto Ada rivive il passato. è un senso di colpa che risuona. Il suono più atroce del film, però, non lo facciamo sentire...".

Il senso d'angoscia

Tra l'altro, Il primo figlio si apre con un riflessione legata all'angoscia, e all'imprevedibilità del futuro. Un punto di partenza chiaro. "Sono una persona indecisa", prosegue Mara Fondacaro. "Ho deciso di fare la regista perché sul set riesco ad essere decisa. Ma cosa vuol dire crescere? Quando impari a scegliere cosa sia meglio per te. Volevo basare il film sulla questione delle scelte, anche quelle più avventate. Nel tentavo di rimuovere ci muoviamo verso il tentativo di ripartire, legandoci all'incoscienza di due ragazzi".

Il Primo Figlio Foto
Benedetta Cimatti è Ada nel film

Per indole e anima quello della Fondacaro è un film indipendente. Secondo la regista, oggi, è "Molto complicato produrre titoli indie. Sappiamo come verte il nostro cinema. Mi ritengo però fortunata, il cinema indipendente è slegato al genere. Però ci sono produttori che accettano il rischio, indipendentemente dalla difficoltà di produrre opere come la mia".

Un film molto poco rassicurante, lontano dalla grande platea e dalla facilità di lettura. "Ho sempre pensato che il mio non sia un film rassicurante, e spero riesca a porre domande. È un film fatto di dettagli e suoni. In realtà questo vuol dire fare cinema. Può piacere e non piacere, però bisogna portare una riflessione, senza passività e senza distrazione. Mi ritrovo ad insegnare nei liceli, e dico: cerchiamo di analizzare un film, cosa comporta Anche l'intrattenimento deve lasciar qualcosa".

La maternità oggi

Spostando la gradazione, chiediamo poi all'autrice quali siano i lumi artistici che l'accompagnano nel percorso professionale. "Ho avuto molte fasi della vita. Però uno è particolarmente indicativo, mi ha fatto capire tante cose. Ovvero, appena vidi Magnolia di Paul Thomas Anderson. Il miglior cinema sconvolge e coinvolge. Forse è così che si fanno i film. In generale vedo tanti film, ma quando scrivevo Il Primo Figlio ho pensato in parte a Rosemary's Baby".

A proposito, oggi il cinema sembra stia raccontando la maternità come mai fatto prima. "Viviamo in una società che ragiona sul corpo", conclude Mara Fondacaro. "Non sono madre, ma ne conosco tante. La maternità è una questione ampia, e non riguarda solo chi ha figli. Si stanno sfatando molti taboo. Fino a pochi anni fa si credeva che il parto portasse solo felicità, e invece non è così. Si può raccontare anche la depressione post-partum, e la sensazione di essere abitati da un corpo estraneo. Oggi siamo più liberi. È un argomento universale, e non riguarda solo le donne. Anche l'uomo è diventato più sensibile all'argomento. La maternità non è solo una favola, ma questo non vuol dire che non si possano amare i propri figli".621143