Il cinema indipendente italiano torna a interrogarsi sul suo stato di salute e non può che farsi ancora portavoce di una condizione desolante e stagnante, che vede registi vagare come anime in pena da un produttore all'altro per raccogliere finanziamenti che non arriveranno mai, attori umiliati, pronti a vendere il proprio corpo e la propria arte pur di apparire, in un sistema che mette il denaro sopra ogni cosa, che privilegia gli interessi più pratici alle ambizioni artistiche dell'autore di turno. Dopo il recente La rabbia, di Louis Nero, un altro regista tenta la carta del film nel film per raccontare la sventura del far cinema in Italia. Claudio Serughetti è regista, attore, sceneggiatore, produttore e autore delle musiche de Il nostro messia, storia di un cineasta parigino alla ricerca di fondi per il suo nuovo progetto nel paese dove il cinema sembra non esistere più, l'Italia. Ad aspettarlo cinque giovani aspiranti attrici disposte a tutto pur di avere una parte nel suo film. Girato con "sforzi umani e produttivi inimmaginabili", come dichiarato dallo stesso regista, con la partecipazione a titolo gratuito dell'intera troupe, Il nostro messia può contare sulla presenza nel cast di nomi come Rosalinda Celentano, Tinto Brass, Fabrizio Rongione e Dolcenera. A presentare il film, in uscita il 23 maggio in sole 4 copie distribuite dalla neonata Apocalypse Flower, ci sono il regista-attore Claudio Serughetti, la protagonista Sarah Maestri e il produttore-attore Gianluca De Maria.
Claudio Serughetti, come è nato il progetto?
Claudio Serughetti: Tutto è nato con un cortometraggio che dovevo girare nel 2004. In quel periodo ero già al lavoro nella produzione di un altro film che spero di portare a termine quest'estate. Avevo proposto ai produttori di girare un corto per conoscere la troupe e gli attori del film in questione, non pensavo mai di finire col lavorare a un lungometraggio. Nel frattempo abbiamo fatto i casting e ci siamo accorti che avevamo tante brave attrici che sarebbero state sprecate in un corto. Poi sono arrivati uno dopo l'altro i nomi importanti, come Rosalinda Celentano che veniva da The Passion di Mel Gibson, Sarah Maestri che era entusiasta anche solo di girare il corto, Tinto Brass che dopo aver letto la sceneggiatura si è dichiarato contento del ruolo proposto perché poteva così vendicarsi finalmente dei critici, Fabrizio Rongione che ha interpretato tra gli altri Rosetta, il film vincitore a Cannes nel 1999; poi avevo visto Dolcenera in tv, a Music Farm, e sono rimasto sconvolto dalla sua voce e dalla sua presenza scenica e ho voluto contattarla immediatamente e lei si è mostrata euforica per il progetto. Insomma, alla fine questi nomi hanno dato credibilità al tutto, il corto si è trasformato in un lungometraggio e ci siamo messi al lavoro per confezionare un buon prodotto. Se certi attori sono disposti, pur con mille difficoltà, a lavorare gratis, non si può dire lo stesso delle maestranze, i tecnici, i macchinisti, e tutto il resto della troupe con famiglie da mantenere, per i quali lavorare gratuitamente significa andare incontro a tanti sacrifici. Comunque, ce l'abbiamo fatta, abbiamo realizzato il film e ora usciamo in sala. Ci manca solo un ultimo miracolo: farlo vedere a più persone possibili.
Come ha lavorato alla storia del film?
Claudio Serughetti: Il film non è autobiografico, ma molto di più. Volevo raccontare il rapporto sogno/realtà e la sua disillusione, che è quasi sempre automatica. Il nostro messia racconta una realtà più vasta, che non è solo quella delle attrici il cui sogno più grande è di incontrare qualcuno che rappresenti la "svolta", ma quella di tutti noi che aspettiamo, in ogni campo della vita, quella persona capace di cambiarcela in meglio. Le attrici fanno il lavoro più umiliante in assoluto della catena artistica, aspettano una telefonata che le renda vive. Il Messia concreto, moderno, reale è la persona che le fa esistere, un regista o un produttore. E' una situazione molto triste.
E' per questo che ha messo a sedere le sue attrici su un water nella locandina del film?
Claudio Serughetti: Durante i miei studi ho imparato che la locandina è elemento fondamentale di un film perché deve raccontare molto di quello che lo spettatore ritroverà in esso. Per la locandina del mio film volevo una versione piramidale del potere, con in cima un trono vuoto riservato a quel messia che si spera arriverà, prima o poi, e le attrici sotto di lui come vassalli, esteticamente umiliate, che si denudano a tal punto da farsi vedere sulla tazza.
Quanto è costato il film?
Claudio Serughetti: I soldi spesi ammontano a 35.000 euro, molti dei quali destinati ai cestini giornalieri. Ho supplicato di avere altri diecimila euro per girare due settimane in più, ma non mi sono stati concessi.
Avete chiesto finanziamenti al Ministero?
Claudio Serughetti: Sarebbe stato assurdo chiedere dei soldi allo Stato per un film che si pone contro certe logiche e poi non avevamo una sceneggiatura finita, essendo il film nato come un corto, poi trasformato in medio e quindi in un lungometraggio. Lo Stato però dovrebbe avere interesse di rappresentare una certa realtà. Sia a destra che a sinistra, sono tutti concordi sul fatto che il nostro è un sistema marcio, siamo in una situazione di genocidio culturale tout court, e il ministero avrebbe potuto aiutare questo messaggio. Con i finanziamenti, abbiamo messo nel film anche il nostro sangue e il nostro cuore. L'Italia è l'unico paese in cui l'artista paga per lavorare ed è considerato l'ultima ruota del carro, quella più umiliante. L'artista però è sempre pronto a sognare, e nel film è ben rappresentata questa grottesca voglia di cambiare vita, di gioire, di vivere, anche se poi finisce come finisce.
Nel film è spesso citato Pier Paolo Pasolini. Come mai?
Claudio Serughetti: Pasolini, dopo mia madre e insieme a Paul McCartney, è la persona più influente della mia vita. C'è sempre lui nella mia anima e nei miei occhi. Rappresenta l'impegno civile, la poesia, e per me è l'artista più vicino al Cristo che possa esistere.
Qual è il suo prossimo progetto?
Claudio Serughetti: Sto lavorando a un film chiamato Felicità o morte, un road movie che ha sullo sfondo i fatti di Genova, il settembre 2001 e la caduta delle torri gemelle. E' un film che si ispira a Easy Rider e dovrebbe esserci un piccolo cameo di Moretti sulla Vespa, una Vespa che verrà rubata dai quattro protagonisti e da questi usata come personale vendetta.
Sarah Maestri, com'è stato prendere parte al film?
Sarah Maestri: Se nel film ci sono raccordi un po' strani è perché sono passati anni da una ripresa all'altra. Posso dire di essere cresciuta con questo film, perché tra le scene iniziali e quelle a cui assistiamo verso la fine sono trascorsi tre anni nei quali sono invecchiata, e si vede. Il nostro messia è un piccolo film, un prodotto a costo zero, e sono orgogliosa di essere qui oggi a presentarlo. E' un progetto in cui ho creduto molto, tre anni di lavoro in cui tutti hanno lavorato con passione, ma gratuitamente. In molti pensavano che non saremmo mai usciti in sala, e invece siamo riusciti anche in questa impresa. Inoltre, tra le ragazze protagoniste del film è nata una bella amicizia e sul set si respirava un'aria gioiosa che ci ha aiutato molto, anche perché facevamo tutto da noi, ci siamo anche truccate da sole.
Gianluca De Maria, lei del film è interprete e produttore. Quali sono state le difficoltà di produzione di un film come Il nostro messia?
Gianluca De Maria: E' stato un progetto particolare, tormentato nel bene e nel male. Lavorare in certe condizioni, con un budget così risicato, è più faticoso, ma dà anche più soddisfazioni. Non volevamo fare un lavoro che poi non poteva essere visto da nessuno o poteva essere recuperato solo in DVD, e questo è stato possibile grazie all'apporto di tutti coloro che hanno dato il proprio contributo al film. E' difficile in Italia produrre e distribuire, perciò ci siamo associati per produrci da soli il film e nel momento di distribuirlo abbiamo creato una distribuzione indipendente che ci ha permesso di uscire nelle sale con le nostre gambe. Per questo, Il nostro messia è da considerare un prodotto totalmente indipendente, sia nella produzione che nella distribuzione.