Il mondiale di calcio di Patagonia non si è mai disputato, ma se si fosse giocato lo avremmo voluto proprio così, come ce l'hanno raccontato in questo divertente ed appassionato mockumentary low-budget i due registi Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni. Sei anni di lavorazione ed una stretta collaborazione produttiva tra Italia e Argentina che coinvolge la Verdeoro - Italia, la Docksur Producciones argentina ma anche RaiCinema, RaiTrade, Istituto Luce - Cinecittà e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, per un film che è, i due ci tengono a precisarlo, totalmente di finzione ma che è stato realizzato e concepito dai due con un linguaggio prettamente documentaristico, un linguaggio che entrambi parlano benissimo e di cui conoscono alla perfezione meccanismi e segreti. Nei giorni forse più neri e scandalosi del calcio nostrano arriva nelle sale distribuito da JP Entertainment Il mundial dimenticato, il film che grazie ad un lungo lavoro su materiali di repertorio degli anni '40, su immagini vere e su immagini di finzione ci racconta, spacciandolo per vero, un mondiale di calcio pazzo e surreale trasformando con maestria un evento inventato, capace di abbracciare tutti i luoghi comuni e le sfaccettature romantiche del gioco del pallone, in un qualcosa di talmente assurdo da risultare credibile. Viaggi, racconti, montaggi video, partite finte, ritagli di giornale, giocatori improbabili, ricostruzioni e personaggi, famosi e non, si riuniscono in novanta minuti di puro divertimento e di suspence costruiti attorno ad un evento che lo scrittore Osvaldo Soriano si era già divertito a raccontare e ad inventare nel 1995 nel suo libro Pensare con i piedi dando il via alla fantasia dei due cineasti toscani che hanno voluto dar vita, almeno sul grande schermo, al bizzarro torneo narrato dall'autore e disputato nella sua immaginazione nel 1942 nella Patagonia Argentina. Di questa singolare opera pseudo-documentaristica e delle sue vicissitudini promozionali e produttive si è parlato stamane durante l'incontro stampa con i due realizzatori e con il produttore Daniele Mazzocca, fondatore della Verdeoro che parallelamente a questo progetto ha realizzato anche l'atteso documentario sportivo, stavolta vero, intitolato Rimet - L'incredibile storia della Coppa del Mondo, sempre diretto a quattro mani da Garzella e Macelloni.
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Ci dite cosa c'è di vero e cosa c'è di inventato in questo film? Francamente non riusciamo a capire con esattezza qual'è il limite tra fantasia e realtà... Filippo Macelloni: Non siete gli unici, anche all'Istituto Luce non hanno saputo riconoscere le immagini d'archivio da quelle girate da noi (ride). Vogliamo chiarire che di vero non c'è praticamente nulla se non il contesto storico e i personaggi famosi che si sono prestati al nostro 'gioco'. Il mundial dimenticato è un finto documentario, in gergo tecnico un mockumentary, che ci ha aiutato a prendere un po' in giro questo folle mondo del calcio e il mercato cinematografico ma allo stesso tempo a far riflettere lo spettatore su questo sport definito 'nazionale'. Quella di Soriano era una storia meravigliosa che volevamo in qualche modo fare nostra e ci siamo dovuti ingegnare per inventare una formula originale che ci aiutasse a lanciare un film sull'argomento. Abbiamo dovuto fare di necessità virtù, per comunicazione e lancio abbiamo usato la consulenza della TBWA che con una campagna virale che usa la stessa 'filosofia' mockumentaristica del film tirando in ballo un quiz televisivo... Qualcuno, anzi più di qualcuno a dire il vero, c'è anche cascato...
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Un bel traguardo per un film low-budget come il vostro non essere entrato ancora in un laboratorio di post -produzione... Daniele Mazzocca: La tecnologia galoppa di giorno in giorno, pensate che abbiamo iniziato la produzione con alcuni mezzi tecnici e l'abbiamo terminata con altri assai pià avanzati. Quello che vedete sullo schermo è tutto rigorosamente fatto in casa nei nostri studi di Verdeoro, parlavo di questo aspetto anche con Nanni Moretti qualche tempo fa, che quando al visto il film l'ha subito opzionato per Bimbi Belli (il festival promosso da Moretti per promuovere i registi esordienti del cinema italiano ndr). Il nostro è un film totalmente digitale realizzato senza neanche un centimetro di pellicola, io ero terrorizzato da questo aspetto all'inizio, l'idea di gestire dei files la vedevo come un grosso rischio. Col passare del tempo mi sono convinto che sia uno dei modi più semplici di affrontare il cinema con pochi soldi per avere risultati visivi di grande qualità senza passare per le grandi majors.
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Come avete scelto le location? Filippo Macelloni: Siamo andati letteralmente a caccia di location per evocare la storia, che avevamo in mente di raccontare ed abbiamo trovato il castello distrutto che faceva al caso nostro per raccontare la dimora del conte Otz, poi girando in lungo e in largo ci siamo imbattuti in quella cittadina alluvionata che si vede nel finale, cittadina completamente devastata negli anni '80 dalla forza dell'acqua di un grande fiume e che poi è improvvisamente riemersa. E' in quel momento che abbiamo deciso di inserire la storia dell'alluvione nella sceneggiatura.
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Lorenzo Garzella: Siamo due documentaristi di nascita di formazione e di indole, abbiamo realizzato molte cose anche sul calcio vero, giocato e non, siamo anche due appassionati di questo sport, del suo lato romantico che poco ha a che fare con quello che si è reso protagonista in queste recenti degenerazioni. Ci interessa molto il calcio anche come fenomeno sociale tant'è vero che quando leggemmo il libro ci si accese a tutti e due una lampadina che non la smetteva di far luce. L'idea di inventare di sana pianta un mondiale di calcio in un periodo che rappresenta una sorta di zona d'ombra storica come gli anni della guerra ci è sembrata davvero stimolante. Non lo abbiamo fatto solo per puro spirito di sperimentazione ma più che altro per evocare una leggenda usando il mistero e la manipolazione delle immagini.
Perché avete scelto di usare il documentario per raccontarlo?
Lorenzo Garzella: Il linguaggio documentaristico si presta molto al racconto dello sport, ci avrebbe aiutato a riempire in modo credibile un periodo storico e sociale totalmente folle e la storia che raccontiamo a volte sembra anche più credibile della realtà di quegli anni. Ma questo è un film che parla di un calcio perduto e dimenticato, c'è di tutto dentro, il doping, arbitri corrotti, il dubbio che si insinua nei tifosi, insomma, racconta un po' i luoghi comuni del calcio romantico che mi ricordano tanto la mia infanzia. C'è anche la leggenda della letteratura sudamericana, le citazioni di un'altra nostra grande passione che è il cinema, c'è anche il riferimento all'immigrazione. E' un film pieno di suggestioni e di tracce di un passato inventato che è una cosa assai diversa dal documentario vero che racconta i ricordi veri e la storia vera delle persone. Per questo mi imbarazza molto quando il film viene categorizzato come documentario, semplicemente perché non lo è.
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Daniele Mazzocca: E' un lavoro molto importante che abbiamo realizzato per History Channel in concomitanza con questo film, un progetto in cui ci ha aiutato molto RaiTrade che l'ha venduto in ben 22 paesi del mondo. Il mio unico rammarico è quello di non essere riusciti a conquistarci una messa in onda televisiva per colpa della burocrazia e di liberatorie illustri che non arrivavano mai. Speriamo di poterlo mostrare presto a tutti.