C'è chi lo considera addirittura il film del secolo, ed essendo passati solo quattordici anni la definizione ci sta tutta. Ma Boyhood è molto più di un semplice film, potrebbe essere definito in tante maniere differenti, da esperimento antropologico a profonda riflessione filosofica sullo scorrere inesorabile e meraviglioso del ciclo vitale. E dal punto di vista squisitamente cinematografico, paradossalmente il meno interessante ma non per questo da trascurare, questo straordinario concept movie, definizione decisamente riduttiva ma per molti versi calzante, dà un senso assoluto all'opera di un regista, Richard Linklater, spesso discontinuo, ma che ha sempre portato avanti un discorso autoriale di grande spessore, sublimato nella magnifica "Trilogia del sole e della luna", a suo modo un'operazione simile a quella di Boyhood.
Della grandezza di questo gioiello si parla su queste pagine, ma un'opera portata avanti per dodici anni non sarebbe stata possibile senza la dedizione di un gruppo di lavoro che ha creduto al progetto dal primo all'ultimo minuto. Tra questi, Patricia Arquette, che nel film interpreta la mamma di Mason, ovvero Ellar Coltrane, l'eccezionale protagonista del film. Attrice dalla carriera discontinua, ma con perle nella sua filmografia come Una vita al massimo di Tony Scott, Ed Wood di Tim Burton, oltre all'immenso Strade perdute di David Lynch, la sorella di Rosanna ha poi conosciuto il grande successo televisivo con la serie Medium, durata ben sette stagioni. Con Richard Linklater aveva già collaborato nel 2006 in Fast Food Nation, ma in effetti stava lavorando con lui già da quattro anni su Boyhood. L'abbiamo incontrata in esclusiva per i lettori di Movieplayer al Festival di Berlino.
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Attrice e madre
Miss Arquette, lei è anche una mamma. Cos'ha personalmente portato al film come madre?
Patricia Arquette: Molte cose, spero. Credo che tante madri abbiano fatto nella vita le stesse cose che ho fatto nel film. Dire ai loro figli "io sono qui", cercare di innalzare il proprio livello sociale, fare due lavori per guadagnare di più, sposarsi con un altro uomo perché credono sia la cosa migliore per i ragazzi, perché potranno avere ognuno la loro stanza, una figura paterna presente, per poi scoprire di avere fatto un errore. Non è detto che queste scelte siano per forza un bene.
Anche quando i suoi figli sono partiti per il college ha avuto la stessa reazione che ha avuto nel film?
La mia è una situazione un po' diversa, nel film Mason è il secondogenito, la sorella ha già lasciato casa e quindi senza di lui mi ritrovo sola, consapevole di avere fatto del mio meglio, ma senza più un obiettivo nella vita. Per ora solo il mio primo figlio è andato al college e in quel momento mi è passata tutta la sua vita davanti agli occhi, da quando aveva tre anni fino a quel preciso istante. Lo vedevo corrermi incontro ed abbracciarmi, crescere e diventare grande, mentre lo salutavo prima che lasciasse casa. Gli ho detto di fare del suo meglio e l'ho fatto partire. Poi ho pianto per nove ore di seguito, chiamando tutti i miei amici per farmi consolare. Non oso pensare cosa succederà quando se ne andrà anche mia figlia.
Lei è abituata a mantenere un personaggio in vita per anni, grazie al successo della sua serie televisiva. Ma questa cosa è completamente diversa...
Sì, perché di solito un attore è abituato ad avere una sceneggiatura su cui potersi basare per capire l'evoluzione del suo personaggio. Qui semplicemente la sceneggiatura non c'è, ed è stato un lavoro assolutamente unico. Da una parte abbiamo lavorato ascoltando le persone, chiedendo anche alle donne del set quali fossero i loro stati d'animo nelle situazioni che ci trovavamo ad affrontare ogni anno quando giravamo. Il mio non era un semplice personaggio di finzione, ma un'entità vivente, indipendente da qualunque scrittura.
Senza paura
Non era spaventata quando Richard Linklater le ha proposto il ruolo?
Non credo di essere mai stata spaventata da nessun ruolo che mi sia stato proposto nella mia carriera. No, anzi, ero incredibilmente eccitata, un progetto incredibile da fare con un regista che apprezzavo altrettanto. Ho sistemato le mie agende ogni anno facendo così da poter essere sempre libera per Boyhood e quando ero sul set ero terribilmente felice. E poi era troppo divertente parlare con gli altri quando ci rivedevamo dopo un anno. "Ehi, ce l'abbiamo fatta ancora. Che follia!"
A proposito degli schedule, come riuscivate a gestire le esigenze di tutti?
Richard aveva un anno per poter pianificare, quindi si poneva delle date di massima in cui girare, si accordava con la famiglia di Ellar, generalmente si lavorava in giugno, e da marzo iniziava a fare il piano di lavorazione per quelle settimane di lavoro, cercando di non tenere nessuno occupato per troppi giorni. E tutti erano comunque molto disponibili.
Avevate avuto ordine di non parlare del film con gli altri?
Non all'inizio, poi dopo un paio d'anni Richard ci ha chiesto di mantenere un maggiore riserbo, non voleva che venisse fuori una storia del tipo "il film che si gira in dieci anni". Soprattutto perché voleva che ci fosse sempre la stessa atmosfera di piacere sul set. Boyhood è il film dove ho provato maggiore libertà e divertimento, perché nessuno aveva il controllo della produzione, se non Richard e noi stessi che lo facevamo. Oggi i film sono fatti dalle banche e gli investitori vogliono avere statistiche sul target, resoconti di lavorazione e altre cose del genere. Noi non ne avevamo bisogno e credo che per questo Boyhood sarà un esempio per tutti.
Dopo Boyhood
Si sente un'attrice diversa arrivata alla fine di quest'avventura?
Non direi, mi sento senz'altro una persona diversa, perché sono passati dodici anni e la mia vita è cambiata nel frattempo. Sono molto più riflessiva rispetto a qualche anno fa, quando facevo tutto di corsa perché non volevo perdermi niente. Come attrice ho sempre vissuto nella consapevolezza che non sarei mai diventata una superstar, ma che avrei fatto un percorso personale, ed è andata così e sono molto felice. Ma non credo di essere un'attrice diversa, direi che ho più un diverso atteggiamento nei confronti della recitazione.
Non penso di potermi sentire più fortunata di così.
Questi ragazzi sono diventati una specie di seconda famiglia per lei.
Assolutamente, non volevo più lasciarli andare via. Sono speciali, Ellar è un ragazzo incredibile, introverso, poetico, riflessivo, ha qualcosa dentro di imperscrutabile, ma è anche dolce, gentile, con grandi prospettive. Lorelei è una sfida continua, ti spinge a riflettere su te stessa. E tutti e due mi hanno fatto capire molte cose su che madre sono stata e come potrò ancora essere. Non penso di potermi sentire più fortunata di così.