Nutrivamo grandi speranze in Sofia Carson e nelle capacità dell'attrice e cantante di mescolare bene le carte già viste della rom-com per creare qualcosa di più memorabile di un semplice buon film da divano. Del resto, dopo il miracolo Purple Hearts del 2022, con l'allora ancora poco conosciuto Nicholas Galitzine, su Netflix aveva rinfrescato il classico artificio narrativo del "matrimonio per finta" per un film che riusciva ad essere originale, dalla chimica perfetta e il valore aggiunto della colonna sonora creata da Carson, ad hoc. Già La lista dei miei desideri, uscito su Netflix lo scorso marzo 2025, si era limitato ad un film compitino ma non volevamo mollare. Dopo la visione di Il mio anno a Oxford, diretto da Iain Morris e arrivato in piattaforma, che vede Carson anche produttrice (come in Purple Hearts) oltre che protagonista, ci arrendiamo.
Sofia Carson e le regole dello streaming

Anche Sofia Carson si è adagiata sugli allori della fama da streaming e si è accontentata di una commedia che pur essendo tratta da un romanzo amatissimo di Julia Whelan, sembra un brutto mix tra Emily in Paris (ma a Oxford), qualche tocco alla Le pagine della nostra vita per chiudere con un po' di Io prima di te. Qui infatti si racconta di Anna, giovane sognatrice con il mito della letteratura inglese, il feticcio per i vecchi libri e l'ultimo sogno prima di condannarsi ad una vita da contabile in Goldman Sachs: studiare un anno ad Oxford, come da titolo.
Nell'Inghilterra che è molto di più di fish & chips, pub e lord Bridgerton si innamora di un rubacuori donnaiolo, in apparenza, ma che in realtà nasconde una fragilità inconfessabile. Se reimpastare le regole che funzionano nella rom-com è spesso mossa vincente, ciò può anche essere un'arma a doppio taglio, vedere Il mio anno a Oxford per credere. Sofia Carson da sola non basta e non ce la fa neanche il suo comprimario, l'affascinante Corey Mylchreest, letteralmente perfetto nel ruolo che ce lo aveva fatto conoscere: il giovane re George in La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton.
Trascurabile protagonista

Sulla carta, sul libro e probabilmente nella sceneggiatura di Allison Burnett e Melissa Osborne, il film si presenta come il viaggio di un'eroina che non sa di esserlo. Una donna che ha chiuso il suo sogno di poesia e letteratura in un cassetto per una vita super pianificata fatta di lavori sicuri in settori sicuri , tagliando fuori le emozioni e la possibilità di "vivere intensamente" come Henry David Thoreau, citato nel film, scrisse. Chi è la protagonista di questo percorso e del film, il film sembra dimenticarlo sempre più dopo i primi 40 minuti. Le decisioni, gli struggimenti del personaggio di Carson sono affrontati man mano con sempre maggior superficialità, dismessi a favore del corso della storia che si concentra su Jamie e sul suo rivelarsi uomo pieno di sfide e tormenti da risolvere.
Sono mille le occasioni perse per Carson che è una trascurabile protagonista. Le situazioni in cui il film sceglie di non alimentare situazioni più realistiche e significative sono numerose. Tra gli esempi c'è un momento molto interessante in un pub dove Anna viene chiamata dispregiativamente Miss Diversity, per via delle sue origini latine, da chi l'accusa, evidentemente, di essersi guadagnata il posto ad Oxford per riempire la quota diversità. Ancora, il crescendo d'amore tra Anna e Jamie viene ridotto a pochi momenti condensati in un montaggio stile video musicale. A riprova che è Mylchreest a catalizzare l'attenzione, il fatto che i due momenti più commoventi del film non comprendono Carson ma riguardano il personaggio di Jamie e il suo rapporto con il padre, l'ottimo Dougray Scott.
Sofia Carson non basta
Dovrebbe esserci una regola che impedisce il doppiaggio italiano di Sofia Carson perché non ascoltare la sua voce scura e accogliente, un mix tra caldo abbraccio di Olaf e un audiolibro erotico, è quasi un crimine. Nonostante ciò, come analizzato in introduzione, la sua versione italiana non ha impedito il successo dei suoi film (o del suo), in primis Purple Hearts. È indubbio infatti che Carson sia sempre capace di creare chimica con i suoi co-protagonisti e confermiamo che anche questa volta, la coppia Anna-Jamie è un bel vedere di intensità e passione crescente.

Non è dunque questo il tallone di Achille di Il mio anno a Oxford ma la riprova che Sofia Carson, da sola o anche accompagnata bene, non basta, se non supportata da una sceneggiatura che vada oltre l'impasto algoritmico. Certo, non si può pretendere che canti sempre nei suoi film e componga dei brani memorabili per ogni pellicola ma forse questo avrebbe regalato più indipendenza e forza al suo personaggio che qui, da donna indipendente ed emancipata che dovrebbe diventare, si trasforma in crocerossina sacrificante e sacrificata. Non è più, per citare L'amore non va in vacanza, la leading lady della sua vita. Non c'è testo di poesia vittoriana o karaoke che tenga.
Tra Emily in Paris e Io prima di te
Non c'è niente di male ad "omaggiare" film e serie di successo, emulando espedienti narrativi o approcci che funzionano. Ci può anche andar bene che l'arrivo di Anna nella sognatissima Oxford ricordi quello della Emily in Paris di Lily Collins. Siamo disposti anche ad accogliere l'idea di un altro bacio appassionato sotto la pioggia scrosciante che non sia quello tra Rachel McAdams e Ryan Gosling. Concediamo a Il mio anno a Oxford anche l'inevitabile paragone con Io prima di te dove l'unica differenza è nella malattia di lui per modalità e sviluppo. Chiedevamo però, solo che tutto questo non fosse semplicemente unito insieme senza criterio. Il risultato infatti è un film squilibrato, con una protagonista che non completa veramente il suo arco narrativo, prende solo fintamente la sua via. Durante la visione, abbiamo più volte immaginato gli autori di Boris intenti a giocare con ChatGPT per fare un bel potpourri di storie dove l'unica cosa originale è l'attenzione all'evoluzione delle scarpe di Anna, da oscene a così "sceniche" da guadagnarsi uno dei close up finali.
Conclusioni
Dopo il successo di Purple Hearts e il godibile La lista dei miei desideri, Sofia Carson non riesce a fare il miracolo con Il mio anno a Oxford, su Netflix. Nonostante le atmosfere alla Bridgerton e la chimica con il co-protagonista Corey Mylchreest, il film fallisce nell’intento principale di mostrarsi come un viaggio di una donna che abbraccia finalmente i suoi sogni poiché Carson abdica il ruolo di protagonista a favore del suo comprimario, portatore di una storia che catalizza l’attenzione.
Perché ci piace
- Sofia Carson ha una buona intesa con Corey Mylchreest.
- Il film è ben recitato nonostante la superficialità della sceneggiatura.
Cosa non va
- Mescola male film e serie già viste e ben fatte come Emily in Paris e Io prima di te.
- Non si concentra sulla protagonista ma sposta l’attenzione sull’arco narrativo del co-protagonista.
- Non sfrutta tutte le occasioni per fare la differenza in temi da trattare e sentimenti da sviluppare.