In Italia è il momento del tennis. I successi di Sinner hanno trainato l'attenzione del pubblico per questo sport, che sta vivendo un importante ritorno di visibilità e passione. Per questo Il maestro arriva al momento giusto, fuori concorso a Venezia 2025 in attesa dell'approvo in sala del 13 novembre, perché il traino tennistico può essere positivo ed efficace per assicurare al film di Andrea Di Stefano un buon ritorno al boxoffice. Un riscontro che, diciamolo, meriterebbe.

Non è l'unico gancio per attirare l'attenzione degli spettatori, in ogni caso, perché ne è protagonista uno degli attori più amati e presenti degli ultimi anni, uno di quelli che hanno dimostrato di saper fare tutto e incarnare in modo credibile ogni storia: Pierfrancesco Favino, che già aveva collaborato con Di Stefano per L'ultima notte di Amore.
Una nuova promessa e una vecchia gloria
Siamo alla fine degli anni '80 e seguiamo il giovanissimo tennista Felice, appassionato di questo sport le cui aspirazioni, però, sembrano più dettate dalla meticolosa e schematica preparazione imposta dal padre che da inclinazione personale: tra routine ferree, schemi e convinzioni tratte da libri, il padre si rende conto che da ingegnere delle telecomunicazioni non può far fare al figlio il salto ulteriore. Assume così Raul Gatti, ex campione di tennis arrivato fino agli ottavi di finale agli Internazionali di Roma, e gli affida il compito di viaggiare col figlio e prepararlo per i tornei nazionali di quella estate.

Raul Gatti è però una persona problematica, il cui talento non si è mai veramente concretizzato proprio per i suoi limiti caratteriali, ed entra subito in contrato con i metodi rigorosi con cui è allenato il ragazzo, portando a una sequenza di sconfitte. È solo l'inizio di un viaggio in cui Il Maestro troverà l'opportunità per un nuovo inizio, mentre il giovane Felice dovrà imparare ad assaporare il gusto della libertà.
Il Maestro tra film sportivo e storia di formazione

Il Maestro funziona su più livelli. In primo luogo segue i canoni classici del film sportivo, sia in termini di situazioni che si alternano tra allenamenti e incontri, sia in quanto a strumenti narrativi e messaggi, come storia di rivalsa che trasmette il valore degli insegnamenti e la necessità del sacrificio. In secondo luogo si concentra sul Felice del giovane attore Tiziano Menichelli, che deve imparare a trovare la propria via, il proprio modo di stare al mondo e, parallelamente, vivere il tennis, senza la guida rigorosa del padre, funzionando come coming of age e storia di formazione. Infine, ma non per ultimo, ha alcuni tratti da commedia italiana, che permangono dalla prima stesura dello script, che in tal senso era stato sviluppato.
Il valore aggiunto di Pierfrancesco Favino
Un mix che funziona e trova il suo senso nel rapporto tra i due protagonisti, come storia di due sconfitti che i due interpreti sono abili a portare su schermo. Se il giovane Menichelli è una sorpresa, al suo fianco Pierfrancesco Favino si dimostra solida conferma in una prova che alterna leggerezza a intensità e che comunica tutta la sofferenza del suo Raul Gatti. La sua prova non è solo riuscita in quanto anima di Gatti, ma anche per come riesce a supportare e sostenere la credibilità del Felice del suo co-protagonista, che delle sue capacità si riflette e giova. Come due giocatori di una partita di tennis in cui ogni colpo stimola l'avversario, piuttosto che abbatterlo.

Andrea Di Stefano li segue e asseconda il percorso dei personaggi del film, costruendo un contesto narrativo e visivo che non perde mai di ritmo e che sfrutta diversi espedienti di messa in scena per dare il giusto movimento al racconto, confezionando una storia che sottolinea il valore della sconfitta e degli insegnamenti che può comunicarci, diventando un nuovo fondamentale punto di partenza.
Conclusioni
Film sportivo, ma anche storia di formazione, Il Maestro di Andrea Di Stefano intrattiene per le due ore abbondanti di durata, con ritmo e attenzione ai personaggi e il loro percorso. Pierfrancesco Favino è un valore aggiunto per come incarna la sofferenza del suo Raul Gatti, ma anche per come sostiene la prova del giovane collega Tiziano Menichelli con cui costruisce una tangibile intesa. Molto bello, toccante e attuale il messaggio che sottolinea il valore della sconfitta come momento da cui ripartire e da cui si può imparare più che da una vittoria.
Perché ci piace
- La prova di Pierfrancesco Favino e del suo comprimario Tiziano Menichelli.
- La struttura da film sportivo, ibridata con la storia di formazione del giovane Felice.
- La mano di Andrea Di Stefano, che si conferma anche in questo caso e trova le soluzioni adeguate a rendere il percorso vivace e mai stanco.
Cosa non va
- Peccato per un paio di passaggi che funzionano meno, piccoli intoppi che non spezzano il ritmo del racconto e la riuscita della storia.