Nello spazio estetico di un formato 4:3 (più vezzo che allegoria), il cileno Vinko Tomicic racchiude una storia triangolare per parlare, in modo lucido, di una resistenza umana nei confronti della vita più spietata. Dall'approccio neorealista - a detta del regista, l'ispirazione arriva proprio dal Neorealismo italiano - Il ladro di cani (titolo originale El Ladron de Perros,The Dog Thief, con cui è stato presentato al Tribeca Film Festival) parte da un concetto geografico ben definito (La Paz, Bolivia) per orientarsi verso una temperatura cinematografica che si prende il suo tempo di riflessione, agendo per azioni piuttosto che per azioni. E lo ha detto lo stesso Tomicic, presentando il film in Italia, al Giffoni Film Festival, quanto la storia abbia l'intenzione di lavorare sul concetto di orfano.
Un lavoro sull'assenza che non parte dalla sua infanzia, ma prende idealmente spunto da quei lustrascarpe che popolano la Bolivia. Ragazzini sperduti, che indossano un passamontagna per non essere discriminati, e che fuori i grandi alberghi si prostrano a pulire le scarpe dei gringos per pochi centesimi. Ecco, se certi vezzi sembrano screditare la potenza di una sceneggiatura che gioca sulla perseveranza umana, Il ladro di cani funziona meglio nel tratteggio del panorama sociale e politico boliviano.
Il ladro di cani e una storia di solitudini e amicizie
E siamo appunto a La Paz, dove viva il protagonista, Martin (Franklin Aro, esordiente preso letteralmente dalla strada). È solo al mondo, conserva con sé una vecchia foto di sua mamma di cui non ricorda più il nome (ma "a cui le volevano bene tutti"). Non ha possibilità di sostentamento, se non spaccarsi la schiena facendo il lustrascarpe. È timido, chiuso, impacciato. Ama la musica, e suona la tromba. O almeno, vorrebbe suonarla per il complesso scolastico. Martin però ha un cliente facoltosa, Novoa (Alfredo Castro), che fa il sarto ed ha un unico amico, Astor, splendido pastore tedesco. L'idea d'impulso allora sembra ovvia: Martin ruba il cane, così da spingere l'uomo a prevedere una ricompensa per chi lo ritrova. Le cose però cambiano, e Martin, poco a poco, inizia a stringere amicizia sia con Novoa che con Astor.
Il cinema del reale secondo la poetica sudamericana
Accompagnato dagli archi e dai fiati della colonna sonora di Wissam Hojeij, Il ladro di cani procede effettivamente come se fosse una sinfonia in costante evoluzione rispetto al suo protagonista, che vive (anzi, sopravvive) in un contesto estremo, enfatizzato tra l'altro dall'ottima scenografia di Valeria Wilde Monasterios (basti pensare al cimitero delle macchine, rifugio metaforico di Martin). C'è un'oggettività ben chiara nella sceneggiatura firmata da Vinko Tomicic: non vuole mai suscitare pietismo né compassione, piuttosto cerca di fotografare una realtà senza edulcorazione (sarebbe stato facile, con un cane in scena!), preferendo la durezza alla morbidezza. C'è un pensiero ben strutturato rispetto a Martin, protagonista cinematico che altera gli eventi seguendo inconsapevolmente una traccia che lo porterà a scoprire l'amicizia.
Certo è, nella sua anima irrequieta che Il ladro di cani potrebbe sferzare i colpi necessari. Condizionale d'obbligo perché dietro l'aspetto visivo, che ci immerge nei colori abbandonati di La Paz, lo script sembra per certi versi incompiuto, e solo abbozzato rispetto al racconto sostenuto dall'emotività di una relazione tripla di marcata bellezza. Da una parte, peccato; dall'altra però Il ladro di cani dimostra quanto la narrativa sudamericana sia fluida e florida, ponendo l'attenzione su quel cinema del reale che sembra essere stato accantonato dalla cinematografia nordamericana, sempre più schiava degli instant movies. Fosse solo per il valore umano, la pellicola di Tomicic andrebbe vista: tra un gioco di sguardi e di silenzi, fino ad un finale amaro e per questo convincente.
Conclusioni
Vinko Tomcic ci porta nella Bolivia contemporanea in un film ad alto tasso umano: c'è il valore del reale che struttura la sceneggiatura, impreziosita da un'ottima colonna sonora e da una scenografia urbana emblematica nel suo significato. Se possiamo considerare Il ladro di cani cinema neorealista (ideato pensando proprio al neorealismo italiano), dall'altra parte lo script sembra a tratti incompiuto nella sua densità e nella sua lucidità.
Perché ci piace
- La scenografia, la colonna sonora.
- La storia dal forte riverbero reale.
- Il triangolo amicale.
- Il finale amaro.
Cosa non va
- Una sceneggiatura piena, ma forse incompiuta.