Recensione Breaking News (2004)

L'ormai terzultimo film di To coniuga ottimamente esigenze di botteghino e spinte autoriali, con un messaggio sui media che va ad integrarsi perfettamente con le scelte di regia e montaggio adottate.

Il 'grande fratello' di Johnny To

Un tentativo di rapina. Una sparatoria infinita, con pallottole che vanno e vengono in tutte le direzioni. La fuga, l'umiliazione della polizia che si fa show per il pubblico dei telegiornali. E la voglia di riscatto, usando gli stessi mezzi. Sono questi, esposti in estrema sintesi, gli elementi di partenza di questo Breaking News, ormai terzultimo film del prolificissimo Johnny To: un poliziesco dal ritmo serrato, in cui lo sguardo dello spettatore va ad affiancarsi, e spesso a sovrapporsi, a quello delle onnipresenti telecamere montate sugli elmetti degli agenti di polizia, che fanno della caccia al ladro che è il cuore del film una vera e propria fiction con tanto di regia, montaggio e opportuni "tagli".

Il lungo piano sequenza che apre il film stabilisce il clima in cui regista, protagonisti e spettatori dovranno muoversi: sette minuti in cui la macchina da presa di To si muove in tutte le direzioni possibili, "occhio" (o Grande Fratello) onnisciente che spia poliziotti, banditi e gente comune, fino all'inevitabile deflagrazione generata dalla loro compresenza sullo stesso palcoscenico. Dalle strette strade di Hong Kong, riprese dal basso e con largo uso di grandangoli, in modo tale da generare un senso di ineludibile oppressione, il regista sposta presto l'azione negli angusti corridoi e nelle stanze del palazzo sotto assedio, in cui i criminali ingaggiano con la polizia una guerra che è psicologica e d'immagine prima che fisica. Un vero e proprio "set" in cui l'approvazione del pubblico conta quanto, se non più, del risultato effettivo, in cui quest'ultimo può essere manipolato, omettendo o alterando particolari essenziali. Una sfida in cui il vincitore sarà colui che meglio avrà utilizzato i mezzi, militari e tecnologici, a sua disposizione.

E' questo, probabilmente, il film più "teorico" di To, quello in cui il messaggio (certo non nuovo, ma affrontato con notevole coerenza) va ad inserirsi perfettamente nella struttura di genere, facendosi parte integrante delle soluzioni di regia e montaggio adottate. Una radicalità concettuale che consente a To di esprimere, ancora una volta, tutta la sua grande perizia tecnica, nella spettacolarità ed essenzialità insieme delle sequenze d'azione, nella claustrofobica geometria degli spazi in cui la vicenda si svolge. Qualche eccessiva concessione al pubblico nella parte finale (specie nei dialoghi tra i comunque convincenti Richie Ren e Nick Cheung, "nemesi" l'uno dell'altro come nella più classica tradizione del noir hongkonghese), non intacca la sostanziale riuscita di un'operazione che, ancora una volta, è riuscita a coniugare esigenze di botteghino e spinte autoriali. Tra gli altri attori presenti, oltre a Kelly Chen nel ruolo della poliziotta "regista", sono da ricordare due presenze importanti nello star-system cantonese come Simon Yam (che qui interpreta uno dei suoi rari personaggi positivi) e Lam Suet, che offre un'altra ottima prova nel ruolo di uno spaventato, credibile ostaggio.

Movieplayer.it

3.0/5