Il gioco del destino
Daniele (Valentino Picone) è un tranquillo trentenne di Palermo, infantile e immaturo quanto basta che, otto anni fuori corso, frequenta senza troppa passione la Facoltà di Giurisprudenza e con la stessa mancanza di interesse vive una relazione con l'avvenente Marcella (Barbara Tabita), assistente universitaria dello stesso professore con cui il ragazzo sta preparando la tesi. Tuttavia, il destino, che, facile dirlo, la sa sempre più lunga, mette sulla sua strada Tommaso (Salvatore Ficarra), un ladruncolo di quartiere, spacciatore di cd pirata, poco affidabile e con l'insana passione per il furto dei segnali stradali nato, guarda caso, il suo stesso giorno, nella stessa città e, ancor di più, nello stesso, identico, ospedale .
In un crescente gioco di equivoci, i due dovranno fare i conti con la più assurda ed inimmaginabile delle verità: al momento della nascita, sono stati scambiati nelle culle.
In una calda Sicilia divisa fra madri inconsapevoli, infermieri psicolabili, fidanzate gelose, padri mancati o troppo presenti ed una sorella troppo bella per esser vera, prende vita la personalissima ricerca d'identità messa in atto dai due siciliani "nati stanchi" per eccellenza, due "eterni panchinari" capaci di confezionare una commedia ben riuscita e congeniata, che ha il merito di sapersi reggere sopra una vera e propria (solida) struttura narrativa piuttosto che, come troppo spesso accade ai tanti commedianti "transfughi" dal tubo catodico, sull'apparente status che deriva dall'agonizzante popolarità televisiva.
Nessun eccesso, nessun abuso, nessuna concessione: tutto è sapientemente misurato e calcolato con scrupolo da una sceneggiatura (frutto del sudore di Francesco Bruni, Giambattista Avellino e Fabrizio Testini, oltre che di Ficarra & Picone) capace di sorprendere il pubblico con i suoi imprevedibili tempi comici e, contemporaneamente, di concedere ariosità ai quei non pochi momenti figli dell'introspezione e della riflessione (si veda, a tal proposito, il toccante scambio di battute tra due vecchie glorie mai fuori moda del cinema italiano quali Remo Girone ed Arnoldo Foà) .
Inutile dire, quindi, quanto la scelta di un cast di prim'ordine, in cui, oltre ai già citati Girone e Foà, compaiono Andrea Tidona (direttamente da I cento passi ed Il caimano) e Barbara Tabita (Ti amo in tutte le lingue del mondo, Terapia Roosevelt), abbia potuto giovare artisticamente alla riuscita del prodotto finale. Da notare, tra le varie cose, la presenza di Eleonora Abbagnato, prima ballerina dell'Opéra di Parigi (qui nei panni della "piccola" Eleonora Scavuzzo, sorella di Tommaso) per cui Il 7 e l'8 rappresenta un autentico battesimo cinematografico.
Un discorso a parte dovrebbe essere, invece, affrontato per la coppia di "improbabili" quanto riusciti protagonisti : lontano anni luce dal facile e scontato tentativo di proporre insipide macchiette del "già visto" o collaudate copie - carbone dalla risata facile, Ficarra e Picone hanno avuto il coraggio (e, di questi tempi, non è cosa da poco) di reinventarsi per scoprirsi caratteristi di tutto rispetto, artisti del sorriso ed artigiani della risata.
Con riferimenti, mai troppo velati, alla comicità di Caruso ed alla fisicità della premiata ditta Franchi - Ingrassia, i nostri hanno saputo dar vita ad un'onesta pellicola slapstick vecchia scuola, molto vicina alla commedia all'italiana degli anni '70, incentrata sul gioco degli equivoci e sull'ambiguità delle situazioni .
In un lirico viaggio tra emozione trasognata ed umorismo dissacrante, Il 7 e l'8 è un film che fa della leggerezza la sua carta vincente e che vuole far sorridere di quelle illusioni (a volte, ahimè, dure da digerire) che, ad occhi chiusi, attraversano l'esistenza umana.