Il genio delle mura corrugate
Architettura e cinema si erano già incontrate nel 2003 in un documentario, My Architect: A Son's Journey, candidato al premio Oscar, diretto da Nathaniel Kahn e dedicato alla vita e al lavoro di suo padre Paul, scomparso quando egli aveva appena undici anni. Nelle due ore di pellicola si raccontava il viaggio di Nathaniel intorno al mondo e dentro gli edifici creati dal padre per conoscere meglio quella figura persa troppo presto. Il motore che faceva muovere il film era quindi il desiderio di ricomporre il puzzle di una vita che restituisse ad un uomo la figura di un padre che è venuto a mancare troppo presto. Il nuovo film di Sydney Pollack, il primo documentario della sua carriera, dedicato ad un altro architetto, Frank Gehry, non ha invece alla base una motivazione così forte, risultando nulla più che una mera celebrazione di un artista universalmente riconosciuto come un genio.
Frank Gehry è l'architetto del Guggenheim Museum di Bilbao, impressionante complesso architettonico che è ormai diventato simbolo della città spagnola, e di tante altre opere sparse per il mondo: dalla Walt Disney Concert Hall di Los Angeles al Museo d'Arte dell'università di Toledo. Pollack lo racconta attraverso conversazioni amichevoli con lo stesso Gehry, interviste ai suoi assistenti e ai suoi ammiratori più blasonati (tra i quali il musicista Bob Geldof), e riprese effettuate negli edifici di sua creazione. Gehry, sorta di "genio e regolatezza", vista la sobrietà della sua vita privata, è presentato come un artista che con il suo estro ha rivoluzionato il concetto di architettura, rifiutando le tradizionali regole compositive. Nelle sue creazioni, al rigore dell'architettura intesa in senso canonico, Gehry predilige le curve, le pareti corrugate e l'ariosità degli interni, con un'attenzione estrema per la luce. Alla fine le sue opere sono un qualcosa di assolutamente particolare, ma che non stona mai con il paesaggio che vanno ad occupare, perché sono insieme moderne e antiche, in una combinazione originale che fa di questi colossali edifici delle vere e proprie opere d'arte.
Dagli scarabocchi iniziali (dove, come afferma qualcuno nel film, c'è già tutto l'essenziale) alla riproduzione in scala, fino alla realizzazione dell'opera finale, Pollack prova a raccontare il percorso creativo che dall'idea iniziale porta Gehry alla costruzione dell'edificio. L'architetto esprime così il proprio modo d'intendere l'architettura, l'idea della "casa come città" e della libertà dell'opera d'arte. Il fascino delle sue creazioni portate sullo schermo si scontra però necessariamente con la bidimensionalità del cinema e il film soffre un atteggiamento un po' troppo celebrativo nei confronti di Gehry, dipinto come un genio assoluto e indiscutibile, con una sola voce dissonante che però non mette mai in dubbio la sua genialità. Anche il confronto tra il genio dell'architettura e l'uomo di cinema non ispira mai una conversazione realmente interessante e la regolarità della vita privata di Gehry non fornisce alcun argomento umano stimolante che valga la pena di approfondire. Ci si chiede quale sia il motivo effettivo di una distribuzione sul territorio italiano di questo Frank Gehry - Creatore di sogni e quale sia il suo target di riferimento, ma probabilmente il nome di Pollack basta da solo a raggiungere le nostre sale, seppure in numero estremamente ridotto.