Non potevamo che incuriosirci quando le prime comunicazioni relative a Il diavolo di Smiling Woods ne parlavano accennando ad atmosfere tra David Lynch e Stephen King. Curiosi, ma non sorpresi, perché già il precedente Essere Montagna trasmetteva suggestioni da videogioco e ci aveva colpiti per atmosfera e la capacità di parlare di rapporto tra uomo e natura.

Un tema che Jacopo Starace ripropone anche nel nuovo lavoro, appena pubblicato da Bao Publishing, che racconta di Delia il suo amici del liceo, che non ha intenzione di arrendersi quando il fratello Ernie sparisce misteriosamente nei boschi adiacenti alla cittadina di Emmanuel Parish, iniziando un percorso di ricerca spinti anche dal timore che sia solo l'inizio di un incubo che si ripresenta: già due anni prima tredici famiglia di minatori erano scomparse in quella stessa zona e la sparizione di Ernie fa pensare che altre potranno seguire. Lynch, King, ma non solo, tutto un certo cinema americano che mette i ragazzi al centro del racconto, alcuni videogiochi degli ultimi anni così come Stranger Things: c'è tanto della cultura popolare recente e delle sue suggestioni nell'opera di Jacopo Starace, che ci siamo fatti raccontare direttamente dall'autore per esplorare quel confine sempre più sottile e indefinito tra queste forme d'arte.
Jacopo Starace ci porta a Smiling Woods
Partiamo dalla genesi: come nasce Il diavolo di Smiling Woods?
La prima scintilla de Il diavolo di Smiling Woods è scaturita dalla voglia di raccontare quel sentimento di amicizia che ha permeato la gran parte delle nostre adolescenze. Una forma d'amore limpida che col passare degli anni diventa via via malinconia e che spesso ci lascia dei ricordi agrodolci. Durante la stesura del libro questo tema è diventato più marginale, trasformandosi in un racconto su come le storie modificano le loro trame attraverso chi le racconta, di come il passaparola renda le storie più avvincenti e di come a volte si faccia fatica a capire dove sia nascosto il nucleo della verità... Mi piace molto l'immagine di un bosco che ride. Cosa te l'ha suggerita? Esiste un posto in Trentino unico al mondo. Un bosco di abeti rossi chiamato anche "bosco di risonanza", da cui si dice che Stradivari in persona andasse a scegliere il legno per creare i suoi strumenti. Grazie alla conformazione del terreno, alla struttura della zona, ai venti, al clima, questa foresta è unica poiché il suo legno è particolarmente elastico e i suoi canali linfatici agiscono come delle minuscole canne d'organo, contribuendo così alla risonanza dei suoni. Da qui, l'idea del vento che suona gli alberi.
C'è tanto nella storia e nell'ambientazione di cinema e tv di genere americana: le sparizioni, la comunità ferita, la provincia. Sono i film e le serie con cui sei cresciuto?

Esattamente. Da adolescente mi ero fatto l'idea che la vera amicizia fosse quella che vedevo nei film che tanto amavo. Breakfast Club, Stand By Me, *I Goonies e perfino Ci hai rotto papà, per citarne alcuni. Nella mia testa ho l'immagine di questi ragazzi che con le loro biciclette esplorano il mondo e vivono delle avventure all'ombra di casa. Questo era un vero e proprio sogno per me, un ideale di amicizia. Purtroppo, da piccolo non avevo tanti amici che riverberassero con me, e ricordo che spesso sognavo questi mondi in cui avevo i miei amici ideali, compagni d'avventura con cui giravo foreste misteriose e mondi magnifici. Amici che poi ho trovato durante le estati dai 17 anni in su e con cui ho vissuto le più belle avventure della mia vita.
La storia e le sue suggestioni
Mi è piaciuta molto la sequenza in cui i protagonisti entrano nella miniera con il testo dell'agenda nelle didascalie. Molto cinematografica. Avevi un riferimento preciso in mente? Non particolarmente. Mi serviva un momento in cui le due linee temporali si unissero, ovvero il racconto di chi ha vissuto la miniera due anni prima dei fatti e - nel presente - i protagonisti. Questa comunione di linee temporali con il giusto ritmo è stata possibile proprio grazie alla narrazione a fumetti. Però mi rendo conto che sì, nella mia testa vedevo nitidamente il film di ciò che stavo disegnando.
Anche nel materiale promozionale si parla di King e Lynch, ma immagino che le ispirazioni siano tante: cosa hai visto o rivisto per lavorare all'albo?

Diciamo che le tinte di questo libro sono un mix di tanti racconti le cui note dark e gore hanno sedimentato dentro di me creando una sorta di fascinazione stupefacente, come un insetto che vola verso la luce. A parte quelli già citati, c'è assolutamente anche Stranger Things, lo si evince anche dai rimandi grafici, oppure La casa di Raimi, ma ancora di più The World's End di Edgar Wright e tutta la "trilogia del cornetto" annessa, ho preso tantissima ispirazione dai nemici alieni per creare i miei personalissimi infetti. Poi Daybreak, Sabrina, Riverdale (un guilty pleasure) ma anche cose più fantasy come Love, Death & Robots, Arcane, tutto l'Hellboy di Mike Mignola, da cui prendo costantemente ispirazione oppure Resident Evil se volessimo andare sui videogiochi, idem per l'intera opera di Hideo Kojima e Fumito Ueda. **Aspetti come la miniera e l'accenno alle spore mi hanno fatto pensare anche al mondo dei videogiochi, per esempio ad Until Dawn e The Last of Us: sei un videogiocatore? Hai attinto anche a quel mondo per questo e per il lavoro precedente? **
Assolutamente sì. Come in Essere Montagna, vengo spesso ispirato dai videogiochi. Until Dawn e The Last of Us sono i principali. Diciamo che non sono più un videogiocatore incallito come lo ero da adolescente perché purtroppo non ho più molto tempo da dedicargli, ma seguo veramente moltissimi streamer che fanno gameplay degli ultimissimi giochi, quindi sono sempre attento alle novità e il loro lavoro mi permette di recuperare alcune opere d'arte che non posso di certo perdere o escludere dal roster dei miei riferimenti.
Nel nome della contaminazione
Cinema, videogiochi e fumetti. Mondi che oggi sono sempre più interconnessi, sovrapposti. La contemporaneità ha abbattuto anche le barriere tra arti diverse, oltre a sfumare i confini mondiali?

Sono sempre stato del parere che la multidisciplinarietà giovi a tutti i media. Così come la mescolanza di esperienze. Quando il fumetto si fonde col cinema, col teatro, con la street art o con altri supporti interessanti, si arricchisce senz'altro. Sia perché viene conosciuto da una gamma più vasta di persone e sia perché questa fusione porta inevitabilmente ad altri modi per leggere le sfumature di un testo o immagine. Mi viene in mente Scott Pilgim di Bryan O'Malley, che dal fumetto è passato al cinema o dopo ancora alla serie animata, con sfumature differenti e tratti distintivi peculiari per ogni media. Mi dici le tue ultime visioni tra film e serie e, se sei un giocatore, gli ultimi videogiochi che hai provato?
Capiti a fagiolo perché ho ri-iniziato da poco una delle mie serie TV preferite, ovvero Malcolm in the Middle e nel frattempo, qualche puntata di My name is Earl, anche se con un po' di amaro in bocca dato che non è mai stata conclusa. Mi piace molto riguardare film e serie del passato. Mentre per quanto riguarda il gaming, gli ultimi giochi che ho giocato sono stati Zelda: Echoes of Wisdom (In generale la mia saga videoludica preferita) e recentemente, nel poco tempo libero di cui dispongo - oltre a spaccarmi la schiena nella creazione di una campagna D&D da ormai più di un anno - mi piace rivivere le vecchie avventure di Raziel in Soul Reaver.