Come vedremo nella nostra recensione de Il collezionista di carte, il ritorno di Paul Schrader sia in cabina di regia che al Festival del Cinema di Venezia sembra proseguire in larga parte il discorso iniziato a 4 anni di distanza con il precedente First Reformed, senza dimenticare la poetica del suo autore. Anche in questo caso lo spettatore sarà costretto a seguire un protagonista in crisi e tormentato da un passato sconvolgente mentre si trova alla ricerca di una redenzione personale. Una routine quasi anonima, dove il gioco d'azzardo si spoglia di ogni tensione, dove la vittoria al tavolo verde è solo una facciata senza emozioni, un pigro e asettico atto per sopire fantasmi. Con un protagonista d'eccezione come Oscar Isaac, Il collezionista di carte, presentato in concorso a Venezia 78, si pone a cavallo tra un neo-noir esistenziale, dove lunghe note di sintetizzatore accolgono lo spettatore, e una storia di vendetta e perdono. Più interessante concettualmente sulla carta che nello sviluppo narrativo vero e proprio, Paul Schrader sembra avere delle idee vincenti, ma senza sapere come valorizzarle.
Il gioco della vita
William Tell è un giocatore d'azzardo, uno di quelli davvero bravi, capace di leggere alla perfezione le probabilità di vittoria nel corso della partita e in grado di memorizzare ogni singola carta giocata. Un talento venuto unicamente dalla pratica: Tell ha passato parecchio tempo in carcere, con le carte da gioco francesi come uniche compagne di vita. Un tempo carceriere violento di Abu Ghraib, sotto la guida del superiore John Gordo (Willem Dafoe) che spronava ad agire in maniera violenta nei confronti dei prigionieri torturandoli, Tell cerca di dimenticare le sue azioni occupando la mente solo attraverso il gioco e il conteggio delle carte (come sottolinea il titolo originale, The Card Counter). Un giorno, il nostro, assistendo a una conferenza del suo vecchio istruttore, a differenza sua mai stato condannato, riceve le attenzioni del giovane Cirk (Tye Sheridan), figlio di un altro torturatore morto suicida, incapace di trovare pace e desideroso di vendetta nei confronti di Gordo. Forse, cercare di placare l'animo rabbioso di Cirk, accogliendolo sotto la sua ala protettiva, potrebbe essere l'occasione per Tell di redimersi, perdonarsi e sconfiggere finalmente i fantasmi violenti del suo passato. Decide così, con l'aiuto della finanziatrice per il gioco d'azzardo La Linda (Tiffany Haddish) di iscriversi al torneo mondiale di poker, vincere abbastanza partite per garantire a Cirk un futuro senza debiti e ad entrambi un nuovo inizio. In quel tavolo verde, in cui i vari giocatori cercano fortuna e successo, ognuno per motivi diversi, bluffando e cercando di interpretare smorfie e comportamenti, avviene il gioco della vita.
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I volti della sofferenza
Sono tre i protagonisti principali del film, di cui quelli maschili corrispondono ai personaggi più sofferenti del racconto. Si tratta di un cast poco numeroso, ma che preferisce concentrarsi il più possibile sul talento recitativo di Oscar Isaac. Nell'interpretare Tell, Isaac sceglie di lavorare di sottrazione: attraverso una faccia pulita e da bravo ragazzo, senza barba e con i capelli costantemente pettinati, tradisce il suo tormento interiore attraverso la postura e il modo in cui osserva ciò che lo circonda. Come nel gioco del poker, in cui il bravo giocatore è quello che sa "scavare nell'animo" degli avversari, così Oscar Isaac trattiene le emozioni lasciando che uno sguardo enigmatico diventi il suo marchio di fabbrica. A tratti quasi anaffettivo e distaccato, il suo è un personaggio sfuggente che cerca di non trovare alcun tipo di legame empatico con lo spettatore. Attraverso una voce narrante fuori campo che funge da flusso di coscienza, Tell si apre quanto basta, ma senza lasciar spazio alle emozioni. Questo, però, non è da considerarsi un difetto in quanto rende il personaggio sicuramente affascinante, dimostrando il talento dell'attore che, attraverso il solo linguaggio del corpo, è capace di risultare affabile quanto pericoloso, distaccato quanto coinvolto. Leggermente più sensibile al corso degli eventi è il personaggio di Cirk interpretato da Tye Sheridan, che al contrario esplicita in misura maggiore il turbinio interiore. È lui l'unico del trio che piange, ride, si lascia emozionare dall'ascolto della musica, si annoia, si arrabbia. E se a Willem Dafoe è destinato un ruolo sin troppo marginale, risulta perfetta nella presentazione quanto statica fino alla fine del film Tiffany Haddish, donna che rappresenterebbe una luce salvifica della vita di Tell, ma che non riesce ad emergere nei confronti del protagonista, nemmeno come polo opposto con cui confrontarsi.
Una mano poco vincente
Risulta evidente, soprattutto nel terzo atto del film, la mancanza di una scrittura approfondita. Manca la percezione di assistere a un vero e proprio conflitto, necessario per meglio rimanere coinvolti nelle vicende. I punti di svolta maggiori avvengono troppo repentinamente e senza particolare pathos. Il risultato è un film che, invece di svolgersi, accade, denotando in qualche occasione (che non raccontiamo per evitare spoiler) una semplicità che sembra odorare di stantio. Il graffio della pantera - per giocare con un altro film del regista - sembra accarezzare e non incidere a dovere, trasportando Il collezionista di carte nella stessa crisi esistenziale del protagonista. Sarebbe, però, ingiusto non riconoscere la bontà del soggetto, in cui il gioco d'azzardo e il poker diventano metafora e specchio della vita stessa, composto da fortuna, nel senso latino del termine ovvero sia buona che cattiva sorte, e pratica individuale. Questa tematica viene ben sviluppata nella prima parte del film, che richiama con successo una dimensione cinematografica che sembra provenire dai film provocatori degli anni Settanta, ma che va via via spegnendosi, nonostante alcuni colpi di scena, senza mostrarne un soddisfacente payoff. Dal punto di vista registico, il film segue lo stesso percorso altalenante: senza particolari guizzi, Schrader preferisce la chiarezza formale senza regalare momenti degni di nota, ad eccezione di una scelta - interessante quanto un po' pleonastica - di alcune riprese girate col fish-eye per richiamare una dimensione infernale e terribile appartenente a un tempo passato, ma impresso nella memoria. Un piacevole accento per un film che, al contrario, fatica ad imporsi nella memoria dello spettatore, una volta abbandonata la sala.
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Conclusioni
Al termine della nostra recensione de Il collezionista di carte non possiamo ritenerci completamente soddisfatti da questa nuova opera di Paul Schrader. Nonostante le tematiche affrontate e un inizio promettente, il film sembra rimanere sulla superficie di ciò che vuole raccontare, senza approfondire mai davvero il cuore del protagonista e della storia stessa. Poche le idee registiche per un’opera che trova in Oscar Isaac il vero punto di forza. La recitazione del protagonista, tutta per sottrazione e capace di cambiare l’atmosfera del film anche solo grazie a uno sguardo, diviene rappresentazione delle tematiche del film, in cui il poker si trasforma in una metafora della vita, caotica e programmata, dove è impossibile stabilire con certezza se si può abbandonare il tavolo verde con le tasche piene o se, alla fine di tutto, a vincere è sempre il banco.
Perché ci piace
- La recitazione di Oscar Isaac, capace di lavorare di sottrazione e cambiare l’atmosfera del film con pochissimi gesti.
- Le tematiche narrative sono interessanti: il film si propone come una metafora tra il gioco d’azzardo e la vita stessa.
- La prima parte del film risulta particolarmente coinvolgente.
Cosa non va
- La scrittura, di stampo classico, rimane alla superficie degli argomenti trattati, prendendo parecchie scorciatoie troppo semplicistiche e depotenziando il film.
- La regia non sempre valorizza la creazione dell’atmosfera che si promette di mostrare.
- Non si percepiscono i conflitti che animano i personaggi principali, soprattutto nel terzo atto.