Sembra genuinamente emozionato Michael Keaton di fronte al calore della stampa italiana. L'importanza del suo ultimo lavoro, Il caso Spotlight, è sotto gli occhi di tutti. Un film di denuncia alla vecchia maniera, diretto con rigore e sottigliezza dall'abile Tom McCarthy, interpretato da una manciata di attori tutti ugualmente straordinari. Un film che mette il dito nella piaga ricostruendo il caso giornalistico che ha scosso Boston, la denuncia del sistematico insabbiamento degli abusi su minori da parte dei preti operato dalla chiesa cattolica. Caso che ha fruttato a Spotlight, team investigativo in forza al Boston Globe, il Pulitzer nel 2003. E a fianco di Michael Keaton si trova un mostro sacro, Walter 'Robby' Robinson, vero caporedattore di Spotlight da lui interpretato nel film. L'occasione è unica per sentir parlare di giornalismo dalla viva voce di chi ha contribuito a scrivere un pezzo di storia di questo mestiere.
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Il caso Spotlight (in uscita il 18 febbraio con Bim) celebra un giornalismo che sta scomparendo per via dei tagli economici e di internet. Parlando dell'importanza di aver interpretato un reporter in momento così delicato per questa professione, Michael Keaton ammette di sentirsi "benedetto. Ho interpretato il ruolo del giornalista per tre volte e sono molto interessato a questa professione. Leggo i quotidiani, guardo le news costantemente, quando capita leggo anche internet. Ho un interesse profondo per il giornalismo e sono stato fortunato a ricevere una sceneggiatura fantastica come questa. Il primo a essere scelto è stato Mark Ruffalo, io sono arrivato dopo di lui. Ciò che mi auguro è che questo film cambi le esistenze delle persone".
Il giornalismo è morto, evviva il giornalismo!
L'ex caporedattore del Boston Globe Walter Robinson ha parole molto amare per il mestiere che ha svolto per tutta la vita. "Negli USA il giornalismo d'inchiesta è malato terminale" dichiara. "Gli editori sono pazzi perché, a causa di internet, hanno deciso di tagliare posti di lavoro e sono partiti licenziando i reporter investigativi. Non sanno ciò che fanno. Il motivo per cui i lettori comprano i quotidiani sono proprio i reportage d'inchiesta. Se non sono i giornalisti a denunciare la colpevolezza dei centri di potere come la Chiesa chi lo farà? Questa è la base della democrazia". Pensando a Il caso Spotlight, però, il giornalista si addolcisce e riserva solo commenti entusiastici per la performance di Michael Keaton: "Sono onorato di essere interpretato da Michael perché lo considero uno dei più grandi attori di sempre. Nel 1994 ero il caporedattore della cronaca locale del Boston Globe e lui ha interpretato il caporedattore di cronaca locale in uno dei miei film preferiti, Cronisti d'assalto. Lo ha fatto in maniera egregia. Vi prego, se non lo avete visto andate a noleggiarlo".
Tocca a Michael Keaton parlare della preparazione e delle difficoltà che ha incontrato nell'affrontare il ruolo di Robinson. "Non voglio sembrare un attore migliore di quanto non sia" si schernisce Keaton "ma interpretare Robby è stato semplicissimo proprio grazie a lui. E' bastato conoscerlo. Ho passato tanto tempo con lui parlando di tutto, famiglia, golf... Ho assorbito la sua essenza. Sono molto interessato al mondo del giornalismo. Io sono solo un attore, sono i giornalisti i veri eroi. Noi godiamo dei frutti del loro lavoro".
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Le colpe della chiesa
La tappa romana è una delle più delicate visto il duro attacco inferto alla Chiesa dal film di Tom McCarthy che non fa sconti, mettendo a nudo il sistema di copertura dei preti pedofili e gli sforzi del clero per sottrarli alla giustizia comune mantenendo inalterato il proprio potere. E proprio nella patria del Vaticano ha trovato rifugio il Cardinale di Boston Law, che compare nel film. "Law è qui dal 2002 e non ha mai più incontrato la stampa" spiega Robinson. "Posso dire di essere stato l'ultimo giornalista con cui abbia parlato". Toccante la testimonianza di Michael Keaton che racconta: "A una proiezione sono stato avvicinato da un uomo che mi ha confessato di essere un sopravvissuto agli abusi di un prete. Non aveva mai detto a nessuno di essere stato molestato e si è aperto dopo la visione del film. Io sono stato cresciuto cattolico, mia madre era molto devota. Rispetto chi possiede la fede. Sono un fan di Papa Francesco, sta cercando di cambiare le cose anche so che è un lavoro molto difficile. La chiesa è fatta di persone il cui lavoro sarebbe proteggere i deboli, invece hanno accumulato potere e lo usano per proteggere chi commette degli errori al loro interno. La cosa che mi rende più triste è il fatto che, a causa degli abusi, vi sono persone che hanno perso la fede".
Riguardo alla refrattarietà del cambiamento, Walter Robinson rincara la dose: "Anche io ho un grande rispetto per ciò che Papa Francesco sta cercando di fare. Quando è stato eletto, una delle prime riforme è stato eliminare le limousine per concentrarsi sulla fede. Una delle limousine e una delle ville più grandi era assegnata al Cardinale Law e ad altri cardinali americani. Credo che il Papa non abbia ancora fatto niente di sostanziale per eliminare gli abusi. Quando è venuto negli USA molti vescovi americani hanno trovato offensivi i suoi cambiamenti, li farebbero solo con una pistola alla testa".
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Contro ogni sopruso
Prima di andarsene, Michael Keaton trova il tempo per dire la sua sulla questione che tiene banco a Hollywood e sulle pagine dei giornali in questi giorni: le nomination dell'Academy "troppo bianche" che hanno causato la protesta di molte star afroamericane. Keaton, le cui posizioni politiche si evincono dal suo impegno a favore delle cause ambientaliste e sociali, ammette: "Fin da piccolo sono sempre stato sensibile sul tema dell'uguaglianza, non so spiegare il perché, ma le discriminazioni mi hanno sempre infastidito. Questo tema è molto importante. E' molto complicato, ma al tempo stesso è semplice. Tutti dovrebbero aver diritto a giustizia ed eguaglianza. Quest'anno non ho seguito con attenzione le nomination perché sto girando l'Europa per promuovere il film. Probabilmente il sistema non funziona a dovere e dovrebbero fare qualche cambiamento, ma più importante ancora sarebbe fare di più per l'uguaglianza, in America e nel mondo". L'attore conclude poi scherzosamente: "Quello che faccio è importante perché l'arte è importante. Tutte le vostre lodi potrebbero liberare la vocina del mio ego che mi fa credere di essere bravo, di essere un primo attore, ma tutto questo è ingannevole. Ciò che fate voi giornalisti è molto più importante che recitare".