"Here they are, the Irish in Berlin". Dopo la menzione speciale come miglior opera prima ricevuta nel 2011, tornano insieme gli irlandesi a Berlino, Brendan Gleeson e John Michael McDonagh con una nuova produzione finanziata dall'Irish Film Board, che ha come motore della storia un argomento tra i più scabrosi e delicati della recente storia irlandese, ovvero gli atti di pedofilia compiuti dai preti della chiesa cattolica. Trattando l'argomento a modo loro, con una commedia nera dai risvolti fortemente drammatici di cui ci parlano in conferenza.
Come mai la scelta di voler fare un film su questo tema?
John Michael McDonagh: Gli scandali legati alla pedofilia sono una delle pagine più nere della storia d'Irlanda, gli abusi sessuali compiuti dai preti nelle chiese sono una questione molto recente e molto dolorosa della nostra storia. Volevo fare un film dove a centro della storia ci fosse invece un prete buono, un uomo che si prodiga nel tentativo di prendersi cura della sua comunità, che cerca di redimere le persone e di fare del bene.
Brendan Gleeson: Nel marasma che si è creato a seguito degli scandali sulla pedofilia nelle chiese in Irlanda sono state coinvolte anche persone che non meritavano di essere accusate, brave persone, preti che cercavano di fare il bene della comunità ma che da quel momento in poi sono stati associati agli altri solo per l'abito che portavano. Mi ricordo da ragazzo il prete era un punto di riferimento per la comunità, l'abito talare era un simbolo di protezione non di minaccia. Ora le cose si sono invertite a causa di quello che è successo, l'abito è qualcosa che genera differenza indipendentemente da chi lo porta.
In questo senso la scena con la bambina e il padre che vi vede camminare insieme è esemplificativa.
Esatto, quella dipinge perfettamente come si sia ribaltato il pregiudizio.
Brendan Gleeson: Credo che in fondo sia un film che reca un grande messaggio di speranza invece, la scena finale descrive un gesto di perdono enorme.
Quindi c'è anche spazio per la speranza? Brendan Gleeson: Tutti abbiamo bisogno di speranza, non crediamo più negli eroi ma ne abbiamo bisogno. E quando troviamo persone che si sacrificano e sono piene di buone intenzioni è una buona cosa, cerchiamo dei leader ma non siamo capaci di riconoscerli quando li troviamo. Ci sono amici e ci sono nemici ma dobbiamo essere capaci di riconoscerli.
Perché questa accettazione passiva del suo destino nel finale da parte del protagonista? Come se contemplasse l'idea del suicidio. Brendan Gleeson: Non sono assolutamente d'accordo. Non sono uno che va a suicidarsi, sono uno che va incontro a qualsiasi cosa lo stia aspettando con l'intenzione e la speranza di poterla fermare.
Ci sono curiose analogie con i romanzi di Agatha Christie nella drammaturgia. Scoprire l'identità di un sospetto all'interno di una comunità ristretta, ognuno potenzialmente colpevole. John McDonagh: Sicuramente a livello drammaturgico c'è un aspetto che riguarda l'indagine, il sospetto. Il film tratta tematiche serie ma è sempre necessaria una parte di intrattenimento, anche di humor, per bilanciare il dramma, per spingere lo spettatore a seguirlo fino alla fine, far crescere la tensione.
Quindi è più difficile credere in Dio o nei preti buoni? John McDonagh: Nei preti buoni. Specialmente oggi in Irlanda. Non è una questione di fede è una questione di disillusione. Molte persone sono disilluse dalla chiesa come istituzione, dal mondo in generale per tutte le cose che succedono, ma questo non gli fa perdere la fede, anzi in questi momenti la gente disillusa si aggrappa ancora di più alla fede.