Una misteriosa mummia ritrovata nel ghiaccio, e il sindaco di un paesello piemontese che spera di portare fama e ricchezza alla sua cittadina grazie a un secondo Oetzi, in barba alla sfortuna che perseguita chi si sia imbattuto nel preistorico cadavere. Ma una disputa sul luogo del ritrovamento, in bilico tra Italia e Svizzera, rischia di far sfumare le ambizioni del rampante politico: così vengono inviate sul posto due squadre di topografi, l'una capitanata da un siciliano, l'altra guidata da un risoluto ticinese, in modo da determinare in modo imparziale l'appartenenza del prezioso reperto. E' questo l'evento da cui si diparte la storia di La misura del confine, secondo lungometraggio di Andrea Papini, già apprezzato al Noir Film Festival di Courmayeur per la sua opera prima La velocità della luce. Ma la provenienza, e quindi la storia, del misterioso oggetto della contesa offrirà anche l'occasione all'eterogenea compagnia di lasciarsi trascinare in un passato comune, capace di gettare una luce diversa sul presente. Hanno presentato la pellicola il regista e il cast quasi al completo, rimarcando anche con forza la riflessione sullo stato di difficoltà in cui versa il cinema italiano.
Thierry Toscan: Grazie a tutti per essere venuti all'anteprima di questo film indipendente, che merita la visione, non tanto perché sia bello, ma proprio perché importante per uscire dal solito circuito. Non dite che è meraviglioso, perché probabilmente non lo è, ma sicuramente è interessante, per il suo essere una commedia ma non una commedia all'italiana come siamo abituati a vederle.
Paolo Bonanni: Abbiamo realizzato questo film in due settimane, grazie a tanta forza di volontà e a un grandissimo impegno. Io l'ho visto stasera per la prima volta, e per noi che abbiamo vissuto quei posti che voi avete osservato qui e ora è stato ancora più emozionante. Vedremo quale sarà il destino in sala del film, ma per adesso non posso che essere contento di averlo fatto e visto.
Andrea Papini: Sì, si è trattato di un grosso impegno, anche perché abbiamo dovuto lavorare con due troupe contemporaneamente e ci è anche capitato di tutto: siamo rimasti al'ultimo momento senza una guida, ci siamo fatti delle levatacce, dei viaggi in elicottero...
Paolo Bonanni: Il tizio sulla barella che si vede nel film ero proprio io, ed è stata una grandissima emozione venire trasportato in elicottero.
Luigi Iacuzio: Sono molto orgoglioso di avere fatto questo film, però devo anche dire che non è così che dobbiamo essere costretti a lavorare.
Peppino Mazzotta: In effetti abbiamo dovuto affrontare delle condizioni molto difficili, e avere solo tredici giorni a disposizione per catturare tutte le immagini necessarie è stato davvero un record. Dalla stazione della funivia al nostro rifugio c'era un chilometro e mezzo di strada da farsi a piedi, e a 3000 metri di altezza non è certo facile. Addirittura le guide che erano con noi ci hanno raccontato di avere scommesso su quanti giorni saremmo riusciti a resistere. Quindi il film va anche valutato in base al contesto in cui è stato realizzato, che era l'unico contesto possibile, per il quale si è fatto di necessità virtù. Speriamo che il risultato ripaghi i nostri sforzi.
Rolando Alberti: Abbiamo quasi rischiato la vita! La sequenza in cui cado, e anche la mia imprecazione, sono reali. Però dobbiamo sostenere questo cinema, che significa anche uno scambio umano molto bello e autentico: ci siamo divertiti tantissimo durante le riprese, tra un torneo di calcio balilla e una bevuta.
Luigi Iacuzio: La nascita di questo film è avvenuta un po' per caso, ed è stato bello così, ma sarebbe anche bello che così non fosse. Sarebbe bello poter mettere in un progetto la stessa forza e la stessa energia, ma magari con un altro tipo di sostegno.
Come è nata l'idea del film?
Andrea Papini: Con il mio precedente film avevo vinto un premio, che consisteva nel poter utilizzare una telecamera Red 4k, e questo ci ha fatto venire in mente che avremmo potuto sfruttarla per un cortometraggio, o, perché no, anche per un lungometraggio. La sceneggiatura è stata realizzata in piena libertà creativa, abbiamo lavorato nella memoria e nel passato. Se avessimo avuto a disposizione più mezzi forse avrei fatto un altro film, ma non avrei fatto questo film diversamente.Che scelte avete dovuto compiere dal punto di vista della fotografia? Andrea Papini: Non abbiamo avuto il tempo per studiare un approccio fotografico particolare, e quindi ho detto al mio direttore della fotografia di usare una luce "da documentario". Il nostro problema principale è stato quello di compensare la forte luce esterna, sapendo che non avremmo potuto curare questo aspetto più di tanto. Quindi in fase di regia ho preferito mantenere uno stile semplice, e la fotografia ha seguito questo spirito.
Di quali consulenze tecniche vi siete avvalsi?
Andrea Papini: Di grande aiuto ci sono state le guide e anche gli operatori del 118. Anche perché tutto è stato fatto con tempistiche molto ristrette: pensate che una mattina alle 8 siamo dovuti salire fino a 4000 metri di quota, scendere per pranzo per una conferenza stampa e poi risalire per girare un'altra scena.Com'è stata la vostra avventura alla ricerca dei finanziamenti? Andrea Papini: Abbiamo cercato di percorrere tutti i canali, per finire con quello dei finanziamenti alla distribuzione con il quale per un solo punto non siamo rientrati nei parametri. Il caso più emblematico è stato quello della Film Commission di Torino. Ci hanno detto: questo film è un po' rischioso, prima fatelo e poi ne parliamo; noi l'abbiamo fatto, e ci hanno risposto "ormai l'avete già fatto!". Abbiamo sopportato per troppo tempo la prevaricazione di chi detiene i soldi, ed è ora di dirlo. Il nostro budget comunque era di circa 600mila euro.
Quali sono le differenze tra il lavoro per la fiction televisiva e quello al cinema? Peppino Mazzotta: Fare fiction è uno dei modi che abbiamo per poter fare film, è anch'esso una forma di finanziamento. Senza il lavoro nella fiction non avrei potuto partecipare a fondo perduto a questo film, ma spero che tutto questo prima o poi cambierà.
Quali sono, quindi, le strategie che avete pensato per il futuro della pellicola? Andrea Papini: Abbiamo puntato su poche sale, ma di qualità, e si spera che il film diventi "un caso", che attragga gli acquirenti televisivi anche internazionali.
Luigi Iacuzio: Io finora ho fatto solo film indipendenti. Sono orgoglioso di questo, ma anche stanco, perché indipendente vuol dire sì essere libero, ma "low budget", se in America può voler dire avere a disposizione un milione di dollari, qui vuol dire solo "sfigato".
Perché la montagna?
Andrea Papini: Io quando vado al cinema voglio vedere qualcosa di diverso dalla mia quotidianità. La montagna è spettacolare, e in questo caso è stato relativamente facile sceglierla, grazie al cambiamento dello stile di vita che è avvenuto negli ultimi anni. Se ci fosse stata ancora la funivia di quando ero bambino, credo che ci sarebbe stato impossibile girare, ma con gli impianti moderni ci siamo riusciti.