Toby e Jay sono due giovani graffitari che si introducono di notte e di nascosto nelle case di persone benestanti, lasciando il loro marchio di fabbrica, la scritta I Came By, sui muri. Una lotta contro il sistema la loro, che però diventa sempre più pericolosa, con le forze dell'ordine che ormai da mesi cercano di scoprire chi si nasconda dietro questi misfatti.
Come vi raccontiamo nella recensione di I Came By, Jay è intenzionato a mollare tutto in quanto prossimo a diventare padre, mentre Toby è determinato a continuare in quella personale crociata idealistica. Il suo ultimo obiettivo è il giudice Hector Blake, promulgatore tempo prima di una legge a favore degli immigrati. Ma come scoprirà ben presto Toby, l'uomo nasconde in realtà inquietanti segreti dietro quella facciata apparentemente intoccabile, e finirà per farne le spese in prima persona. Quando scompare nel nulla, toccherà a sua madre Lizzie, con la quale i rapporti erano più che tesi, mettersi sulle sue tracce per ritrovarlo prima che sia troppo tardi...
Una carriera altalenante
Sembrava una delle nuove promesse del cinema horror, dopo quell'esordio folgorante con Under the Shadow (2016) - diventato in italiano un letterale Sotto l'ombra - che sfruttava al meglio il folklore iraniano per raccontare tramite il genere il dramma di un Paese. Già nel suo secondo lavoro, il mediocre Wounds (2019) il regista Babak Anvari aveva dato segni di parziale cedimento, realizzando un film senza infamia e senza lode incapace di aggiungere qualcosa di nuovo al filone. Con questo suo ultimo film, sbarcato come original nel catalogo Netflix, si è dato al thriller, con una storia morbosa che dietro le dinamiche più cupe e violente vorrebbe raccontare altro sulle derive della nostra società, dove il Male spesso si nasconde nei posti e nelle persone più insospettabili. Peccato che i potenziali spunti di riflessione vengano ben presto inglobati da un approccio più prettamente ludico e tensivo e che i vari risvolti perdano progressivamente di forza nella corsa contro il tempo intrapresa dai protagonisti.
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Prede e predatori
I Came By vede tre personaggi principali, che si dividono equamente i cento minuti di visione, e un villain che domina pressoché la scena dall'inizio alla fine, interpretato con la giusta sordida cattiveria da Hugh Bonneville, tra le note più liete dell'operazione. Un cattivo subdolo al punto giusto, che sfrutta il suo potere e le conoscenze ai più alti livelli per continuare a farla franca anche nelle situazioni più difficili. La sceneggiatura, curata dallo stesso Anvari, vorrebbe insinuare elementi relativi alla lotta di classe ma diventa ben presto timida e dimentica di quanto inizialmente suggerito, come se quei rimandi a Robin Hood, sul rubare ai ricchi per donare ai poveri insinuato nel prologo, fossero mere forzature narrative atte a far deragliare il racconto su quelle atmosfere da kidnap-movie che poi prendono prepotentemente il sopravvento.
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Un focus impreciso
Il problema è che l'autore iraniano, britannico d'adozione, sembra essere sempre indeciso, mai in grado di accelerare sulla violenza e sul (retro)gusto horror - con le scene più estreme lasciate fuori campo - e timoroso di addentrarsi nella fase introspettiva, nonostante i molteplici riferimenti nella gestione delle varie figure principali - dalla madre psicologa incapace di capire il proprio figlio al collega graffitaro appena diventato padre - che avrebbero meritato una maggior cura ed esposizione. Lo stesso sul discorso sul razzismo, legato all'immigrazione, è ben presto messo in secondo piano, ennesima occasione mancata per rendere la vicenda più accattivante e realistica. Questo rende poco appassionanti le ipotetiche vittime e depotenzia di fatto il pathos sul loro destino, con la storia che perde progressivamente di intensità con lo scorrere degli eventi; I Came By paga inoltre una certa monotonia, giacché diversi passaggi sembrano essere ripetute reiterazioni di quanto visto in precedenza, in una sorta di gioco del gatto col topo privo della necessaria tensione a tema e pressoché svuotato da colpi di scena degni di nota.
Conclusioni
Come vi raccontiamo nella recensione di I came by, il regista iraniano Babak Anvari continua a non ritrovare l'ispirazione degli esordi e confeziona un thriller mediocre, che getta potenzialmente molteplici spunti di riflessione salvo poi consumarli in una narrazione povera che si dimentica della sua carica introspettiva, per snaturarla in dinamiche di genere più o meno riuscite. Il discorso sulla lotta di classe, sull'immigrazione clandestina, sull'incomunicabilità tra figli e genitori perde progressivamente di intensità rispetto al perverso gioco al massacro di un serial killer insospettabile, villain assoluto che ruba anche troppo la scena.
Perché ci piace
- Buone interpretazioni, soprattutto da parte di Hugh Bonneville e Kelly Macdonald.
Cosa non va
- Una sceneggiatura che spreca notevoli spunti.
- Ben presto la monotonia la fa da padrona.