Recensione About a boy - Un ragazzo (2002)

Dopo Febbre a 90° e Alta Fedeltà, un altro romanzo del golden boy britannico Nick Hornby diventa film.

Hugh diventa grande

Dopo Febbre a 90° e Alta Fedeltà, un altro romanzo del golden boy britannico Nick Hornby diventa film, ad opera dei due fratelli Weitz, Chris e Paul.

In questo About a Boy - Un ragazzo, però, il tipico eroe hornbyano, immaturo e scapolo inveterato, si sdoppia in due caratteri diversi: uno di loro è immaturo soltanto anagraficamente, perché ha dodici anni, si chiama Marcus ed è un ragazzo con una vita difficile, vittima com'è in casa di una madre in crisi maniaco-depressiva, e a scuola degli inevitabili bulli che un pesce fuor d'acqua come lui non può evitare di trovarsi regolarmente alle calcagna. Il suo contraltare, il trentottenne Will Freeman, non ha invece un problema al mondo: le royalties di una celebre canzone natalizia scritta dal padre gli permettono di vivere nella bambagia senza dover muovere un dito, e grazie a questa rendita perpetua egli può dedicare ogni minuto ai suoi principali interessi: leggere riviste "cool", acquistare dischi, guardare la TV, andare al cinema. E alle relazioni sentimentali, naturalmente: meglio se tante, brevi e non foriere di complicazioni e legami che vadano ad intaccare il perfetto sistema di vita che, secondo Will, gli garantirà una vita lunga e serena.

Il caso vuole che questi due tipi umani praticamente opposti s'incontrino, con conseguenze decisive per entrambi, e divertenti e appaganti per gli spettatori.
La sceneggiatura, molto fedele al romanzo almeno per la prima metà della pellicola, tiene piuttosto bene così come tiene bene Hugh Grant, che dimostra di trovarsi assai più a suo agio con personaggi "ambigui" che nei ruoli da playboy imbranato che ha interpretato nelle commedie sentimentali che l'hanno reso famoso.
Il suo Will, cinico e individualista ma non del tutto arido, patisce e tenta di respingere l'attacco che il mondo esterno gli porta attraverso Marcus, questo bambino-vecchio che implora il suo aiuto per poter essere davvero un ragazzino e che, nel frattempo, sta insegnando a lui a comportarsi da adulto e a trovare il coraggio di uscire dal suo letargo interiore. Si oppone in ogni modo fino a che non si rende conto che questo disastro è la cosa migliore che gli sia mai capitata; e sono la fisicità, la vulnerabilità, la naturale goffaggine e i lazzi di Grant a rendere questo personaggio controverso cinematograficamente interessante.

La centralità del personaggio di Will Freeman va forse a discapito di un maggiore approfondimento del carattere di Marcus e del suo rapporto con la madre, ma è comprensibile la scelta dei registi di affidarsi in maggior misura ad un attore navigato come Grant piuttosto che al giovanissimo Nicholas Hoult. La regia è compìta e più che dignitosa, elude facili scadimenti nell'eccesso di pathos e tutto sommato riesce a trasferire sullo schermo la freschezza, la semplicità e la tenera malinconia del delizioso romanzo di Nick Hornby.

Movieplayer.it

3.0/5