Condizionale è d'obbligo: su carta potrebbe essere la rivisitazione americana di Anatomia di un rapimento diretto da Kurosawa. E sì, pure con un tono diverso, almeno fino a metà, la storyline è abbastanza simile (almeno il nocciolo). Tuttavia, per carattere e spessore, nonché per metrica e sonorità, Highest 2 Lowest è Spike Lee allo stato puro. Quindi, una re-interpretazione, una cover d'autore. L'elegia di un mix-tape urbano. Lo capiamo subito, fin dalla scena che apre il film: la camera volteggia sullo skyline di una fresca e mattutina New York, a metà tra Battery Park e il Ponte di Brooklyn.

Sotto, come genio vuole, la citazione al musical Oklahoma!, con Gordon MacRae che gorgheggia Oh, What a Beautiful Mornin. Poi, per magia, poco sopra il famoso Jane's Carousel di Brooklyn, ecco comparire il titolo del film, scritto in blu e arancione. I colori dei NY Knicks; i colori che Lee si è praticamente tatuato addosso. Inizia così Highest 2 Lowest: una dichiarazione d'amore - l'ennesima - del regista a New York City (l'idealizzata Terra Promessa), guardandola però dall'altra parte dell'East River. Dunque, osservandola da casa, a pochi isolati da Fort Green, il suo quartier generale dal 1979. Un'immediata dichiarazione d'intenti che si concretizza in due, tesissime, ore.
Highest 2 Lowest, la trama: le scelte di Denzel Washington

Highest 2 Lowestè marcatamente radicato nel presente, e se nel film di Kurosawa Toshirō Mifune era un imprenditore senza scrupoli che stava per acquistare la fabbrica di scarpe nel quale lavorava, adesso Kingo Gondo diventa David King, chiamato King David, stimato manager musicale - portando con sé l'epiteto di "orecchio migliore" - che di (s)vendere la sua etichetta proprio non ci sta. Ad interpretare King c'è un pazzesco (dov'è la novità?) Denzel Washington, che torna ad essere diretto da Spike Lee a vent'anni da Inside Man. King David, alle prese con un delicato investimento, viene però sconquassato da una telefonata: suo figlio Trey (Aubrey Joseph) è stato sequestrato. Il rapitore chiede un riscatto di 17.5 milioni di dollari. All'improvviso, però, Trey torna a casa: ad essere rapito, per sbaglio, è stato infatti il suo amico Kyle (Elijah Wright), il figlio di Paul (Jeffrey Wright), lo chauffeur di David. Che fare, quindi? Pagare o non pagare il riscatto?
Il mix-tape urbano di Spike Lee
Oltre al confronto, dove l'archetipo dell'uomo moderno viene spinto oltre i propri limiti e i propri dubbi (King David, al netto del suo conto i banca o dei Basquiat appesi in casa, è l'emblema dell'uomo contemporaneo: fragile, egocentrico, impaurito, sprezzante), Highest 2 Lowest diventa la resa dei conti di Spike Lee. Rispetto al suo cinema e, soprattutto, rispetto al mutevole senso dell'arte, relativo ad un core business che corre veloce senza più riflettere, perdendo il contatto con l'anima. L'anima cercata dal protagonista, e l'anima cercata da Lee, arrabbiato - anzi, incazzato - verso una realtà distratta e sintetica ("no heart, no soul"), nonché rancorosa e invidiosa.
Se l'autore di Fa' la cosa giusta è stato il primo a raccontare la New York post 9/11 (con La 25a ora), adesso è il primo a raccontare davvero il sentimento della città nel post-Covid. Una realtà metaforizzata nel doppio confronto (di nuovo) tra King e il rappert Yung Felony, interpretato da ASAP Rocky: un paragone non per forza generazionale, piuttosto avvicinabile all'idealizzazione di una corruzione morale che può e deve essere affrontata.
Il regista punta al cuore
Per questo, dietro il rapimento, dietro il riscatto e, quindi, dietro il denaro che muove i sentimenti di King David (per cui proviamo simpatia), da parte del regista c'è la voglia di tornare al cuore delle cose (e quindi affrontando la stessa evoluzione del protagonista), affidandosi così ad un cinema classico, che non può non prescindere da quegli elementi che lo hanno reso tra i più grandi filmmaker della storia. Il montaggio di Barry Alexander Brown e Allyson C. Johnson, per esempio, si amalgama all'elegante partitura musicale di Howard Drossin, che non lascia mai la scena.

Come nel caso della lunga sequenza centrale, in metropolitana, da Brooklyn fino al Bronx, passando per Union Square, Grand Central, Harlem. Denzel Washington con il cappellino degli Yankees e uno zaino pieno di dollari, compie un viaggio disfunzionale nel cuore di una New York che urla tutto l'odio verso i Boston Celtic (marchio di fabbrica del regista), intanto che si alza il ritmo portoricano di una leggenda come Eddie Palmieri, abbracciato dal regista facendolo diventare parte integrante di una delle migliori sequenze viste recentemente.
Vecchio e nuovo, classico e moderno, una contrapposizione quasi sensoriale oltre che naturalmente visiva (splendido lavoro di Matthew Libatique alla fotografia), che compie il suo definitivo aggancio con la musica stessa, mettendo in contrasto due modi di pensare e, quindi, due modi di vivere l'arte. Tra l'impeto e il virtuosismo, tra il cuore e la voce Highest 2 Lowest è una splendida, audace e vibrante istantanea del pensiero corrente. Se il regista ricorda allora che l'attenzione, oggi, è la merce più rara, bisogna tornare al futuro, sovvertendo le regole del passato per affermare che il momento è adesso. Come suonava Charlie Parker in Now's the Time, da cui Jean-Michel Basquiat prenderà ispirazione per la sua opera più sentimentale e concettuale, e che Spike Lee, d'emblée, riuscirà a far propria, cogliendone la sua potente e imperfetta allegoria artistica.
Conclusioni
La resa dei conti di Spike Lee; il suo cinema, la sua poetica, la sua visione dell'arte. Il regista rielabora Kurosawa in un film sinuoso, armonico, classico, che vibra tanto quanto New York, accarezzata ed esaltata. Un perfetto palcoscenico brulicante, schema cinetico dove il protagonista, Denzel Washington, affronta una scelta catartica capace di accendere il racconto. Ancora una volta, l'autore di Brooklyn conferma il suo genio.
Perché ci piace
- La scena della metropolitana.
- La tecnica di Spike Lee.
- La musica.
- Il tono generale.
Cosa non va
- La parte iniziale appare bloccata.
- Forse troppo lungo.