Saremo sinceri: per motivi professionali dobbiamo scrivere la nostra recensione di High Score, ma non vi nascondiamo che il primo pensiero che ci è venuto in mente una volta arrivati ai titoli di coda del sesto e ultimo episodio del documentario targato Netflix è stato quello di selezionare l'ingresso del televisore dedicato alla nostra console, prendere il joypad in mano e passare un po' di tempo con un titolo a caso, solo per il gusto di giocare. Capita raramente che un documentario, in questo caso addirittura diviso in sei puntate da 40-45 minuti di media, sappia cogliere perfettamente le giuste emozioni e riesca a stimolare, sotto diversi punti di vista che tra poco andremo ad analizzare, lo spettatore facendolo desiderare di trasformarsi velocemente da parte passiva (guardare semplicemente lo schermo) a parte attiva (giocare attraverso lo schermo). La rivoluzione che ci viene narrata nella prima puntata, a pochi minuti dall'inizio del lungo e appassionante viaggio della storia e dell'evoluzione dei videogiochi, compie un balzo temporale e ci colpisce ancora oggi, in questo preciso momento. Segno che, nonostante il trascorrere dei decenni, la forza del "videogiocare" è ancora intatta, ancora presente, ormai quasi innata e insita in ogni persona: che sia Space Invaders o The Last of Us parte II, nulla sembra cambiato. Proprio attraverso questi sei episodi, High Score riesce a valorizzare ancora di più le passioni, le industrie e le idee che animano e hanno animato la storia dei videogiochi, di chi li ha creati e del suo pubblico, attraverso un racconto mai noioso e capace di catturare l'attenzione sia degli esperti in materia che dei neofiti.
Dagli 8-bit al 3D: storia di un'evoluzione
Non possiamo parlare di una vera e propria trama che si sviluppa nel corso degli episodi. Ogni puntata si concentra, seppur in un racconto che comincia dal 1978 al 1993 e che risulta coeso, in un aspetto diverso della storia del videogioco: dal boom dell'Atari alla nascita della Nintendo, dagli 8-bit fino ad arrivare ai primi esperimenti in 3D di Doom e Star Fox. Inoltre, ogni puntata è dedicata a un argomento principale (che sia un genere - come il gioco di ruolo o i picchiaduro - o un tassello narrativo - la guerra tra Nintendo e Sega o l'invenzione del multiplayer online) rendendo la visione adatta sia per gli amanti del binge-watching, che avranno in poco più di quattro ore e mezza una buona fotografia di come le mode e la cultura del videogioco si è evoluta, grazie anche al progresso tecnologico, e sia a chi invece preferisce gustarsi le serie con più calma dosando il ritmo di visione con un episodio alla volta. In entrambi i casi, la scelta di alternare la storia generale raccontata dalla voce narrante e dalle personalità di spicco del mondo videoludico come Tomohiro Nishikado, il creatore di Space Invaders, o Yoshitaka Amano, l'illustratore dietro i personaggi e i mostri della saga Final Fantasy, con storie più private e intime di videogiocatori permette di affrontare gli episodi senza mai annoiarsi e stimola a più di qualche riflessione.
La rivincita dei nerd
High Score riesce nell'impresa di elevare il medium e, soprattutto, di dimostrare come i videogiochi siano non solo parte integrante della nostra società, ma anche un mezzo, al pari delle altre arti più blasonate e riconosciute, che permette la possibilità di epifanie e rivincite da parte di tutte quelle persone che vengono considerate "nerd" (termine che, nel corso della serie, viene spesso citato a volte sia in maniera orgogliosa, a volte quasi come un dispregiativo) e che si sentono parte di una minoranza. Se il videogioco è stato (e in certi casi è ancora) considerato come un prodotto destinato ai bambini o per adulti mai del tutto cresciuti, la serie lancia un messaggio di inclusività non troppo nascosto tra le righe e, a conti fatti, necessario e audace. Che si tratti di minoranze etniche o sessuali, di accettazione o addirittura di realizzazione di sé stessi, High Score riesce a parlare, senza scadere nelle banalità stereotipate, sia a chi si riconosce nei personaggi comuni intervistati (quelle persone che si sono viste la vita cambiata in positivo a causa di un videogioco) sia a chi nutre ancora dei forti dubbi, soprattutto legati alla violenza, sulla necessità e il divertimento del gioco. Potremmo parlare di rivincita dei nerd se non che la stessa serie lavora molto per evitare queste divisioni sociali e lessicali per unire sotto lo stesso tetto chiunque sia anche solo incuriosito dal mondo videoludico: il piacere di usufruire di qualcosa è più importante del linguaggio che viene utilizzato per descriverlo.
Cinema e videogiochi: l'attrazione (e imitazione) è reciproca
Punteggi alti e punteggi bassi
Complice la presenza di soli sei episodi, tutti con tematiche diverse, High Score si segue che è un piacere. Tuttavia, proprio per la natura stessa in cui sono divisi gli episodi, non sempre la serie centra perfettamente quel bilanciamento che, nei momenti migliori, la rende addirittura emozionante. A causa delle varie tematiche e delle varie svolte narrative di cui è composta la storia videoludica non tutti gli episodi appassionano allo stesso modo e, in certe occasioni, specialmente per un pubblico più generalista e che può definirsi meno appassionato sull'argomento, si rischia un calo di attenzione a seconda dell'argomento affrontato. L'intrecciarsi di linee temporali che saltano, il più delle volte piacevolmente, da un anno all'altro a volte non è completamente riuscito tanto da creare un po' di confusione e risultare un po' un esercizio di stile vuoto. Quando, però, la serie centra perfettamente i suoi obiettivi riesce a dar vita a momenti emozionanti: impossibile rimanere impassibili di fronte all'episodio dedicato ai giochi di ruolo e al significato profondo di impersonare un personaggio-avatar o al finale della sesta puntata che chiude al meglio il lungo viaggio attraverso la storia dei videogiochi. A tutto questo aggiungiamoci un bel tocco di nostalgia personale nel rivedere molti dei giochi "classici" che noi stessi abbiamo consumato quando eravamo più giovani e spensierati per desiderare una seconda stagione (o una seconda parte) che possa affrontare anche gli anni Novanta e i Duemila.
Conclusioni
In conclusione alla nostra recensione di High Score possiamo ammettere senza ombra di dubbio di essere piacevolmente soddisfatti. Non sempre, nel corso dei sei episodi, la serie centra perfettamente toni, ritmo e l’alto interesse verso la materia, ma il documentario si dimostra comunque un ottimo viaggio nella (ri)scoperta delle prime console e nel successo crescente, crisi annesse, dei videogiochi dal 1978 al 1993. Inoltre, vero e proprio punto di forza, High Score riesce ad elevare la semplice cronaca arrivando ad affrontare tematiche sociali, morali e culturali che ancora oggi vengono discusse quando si parla di videogiochi. Un tocco di nostalgia ben dosato e l’emozione è completa.
Perché ci piace
- I sei episodi sono appassionanti e interessanti sia per un pubblico di appassionati che per i neofiti.
- Le tematiche affrontate, oltre alla cronaca, danno luogo a riflessioni importanti non banali.
- L’effetto nostalgia nel rivedere alcuni titoli riesce ad emozionare e a rendere lo spettatore partecipe di una grande storia.
Cosa non va
- Non sempre la serie trova il perfetto equilibrio rischiando di non essere costantemente appassionante.