Nel 2015, quando Robert Eggers debuttò alla regia con il folk horror The Witch, era chiaro a tutti di trovarsi di fronte a un film che avrebbe segnato un punto di svolta per il genere. In quegli stessi anni, insieme a Jordan Peele con Scappa - Get Out e Ari Aster con Hereditary, abbiamo assistito a un rinascimento dell'orrore cinematografico che ha influenzato molti altri registi. È il caso di Didier Konings, concept artist a Hollywood per film come Wonder Woman e Il regno del pianeta delle scimmie, e il suo esordio dietro la macchina da presa: Heresy.
Un intreccio prevedibile

Un film che sembra nato da una costola di The Witch, ma che non ne ha quella potenza dirompente. Il titolo originale, Witte Wieven, si riferisce alle "donne bianche" tipiche del folclore olandese e belga. Un po' streghe, un po' elfi, un po' spiriti, queste entità solitamente compaiono in gruppi da tre e vivono in paludi, foreste, laghi. In Heresy hanno una duplice valenza: da un lato terrorizzano gli uomini, dall'altro fungono da protettrici per la protagonista, Frieda (Anne Sluiters). Una giovane donna che vive in un villaggio medievale olandese con il marito al quale non riesce a dare figli.
Una donna, per di più con problemi di fertilità, in una società dove il femminile vale meno di zero. Si affida alla fede e a pratiche pagane nel tentativo di riuscire a concepire, ma su di lei pende lo sguardo della comunità che la giudica per la sua incapacità di restare incinta. Quando il macellaio del villaggio tenta di violentarla, Frieda prova a trovare rifugio nel bosco circostante, visto da tutti con sospetto e paura. È lì che la donna entra in contatto con le Witte Wieven. Un incontro che scatenerà una metamorfosi interiore e la convinzione, per la restante comunità, che abbia stretto un patto con il demonio.

Sessanta minuti in cui la sceneggiatura di Marc S. Nollkaemper procede senza sorprese. Un intreccio prevedibile che lascia tiepidi fino alla scena conclusiva. È questo il grande punto debole del film che, al contrario, è visivamente molto curato. Dalla costruzione del villaggio ai costumi passando per la regia che enfatizza, grazie alla luce e alla sua assenza, l'atmosfera sinistra che pervade il racconto. Interessante anche come la foresta stessa diventi una co-protagonista, filmata per sottolineare il suo profilo minaccioso quanto magico, mortale quanto salvifico.

Heresy e una riflessione sulla condizione femminile

L'elemento più riuscito del film è, però, un altro: la riflessione sul femminile in un contesto oppressivo come quello medievale, ma che riecheggia anche nel nostro presente. Frieda vive con un costante senso di peccato e colpa che l'attanaglia. Il peso dell'infertilità - da non poter neanche lontanamente ipotizzare riguardi suo marito - misto al fanatismo religioso e a un ruolo sociale di serie B mostrano l'oppressione femminile alla quale anche lei deve sottostare. La stessa figura del sacerdote del villaggio, sulla carta chiamata a essere un punto di riferimento e conforto, contribuisce invece ad alimentare il suo malessere e confinamento.
Quello a cui assistiamo in Heresy è un viaggio verso l'emancipazione della sua protagonista. "Non dobbiamo credere a tutto quello che ci dicono, esorta Frieda rivolgendosi all'unica amica che ha. Per troppo tempo le donne hanno sottostato alle leggi degli uomini. Il film ci esorta a ripensare un assioma tutt'altro che evidente all'interno di un racconto horror.
Conclusioni
Heresy, esordio alla regia di Didier Konings, è un folk horror che, pur ricordando le atmosfere di The Witch di Robert Eggers, non ne raggiunge mai le vette narrative. Il film esplora la leggenda olandese delle Witte Wieven, spiriti ritenuti malvagi da alcuni, benevoli da altri che offrono protezione alla protagonista del film, Frieda. Nonostante la cura messa in campo dal regista e dai comparti tecnici per evocare un senso di inquietudine e ricostruire il villaggio medievale che fa da sfondo alla storia, l'intreccio è fin troppo prevedibile depotenziando il racconto. Il vero punto di forza risiede nella riflessione sulla condizione femminile in un contesto medievale oppressivo, mostrando un percorso di emancipazione che risuona anche nel presente.
Perché ci piace
- Il racconto sull'emancipazione femminile
- La cura formale messa in campo da Didier Konings
Cosa non va
- La sceneggiatura di Marc S. Nollkaemper è troppo prevedibile
- Un paio di sequenze stonano visivamente con il resto del film