Il cortometraggio di chiusura (unico titolo insieme con quello d'apertura concesso a registi non esordienti) della Settimana Internazionale della Critica a Venezia79 sarà Happy Birthday, ritratto della generazione che vive la sua identità tra la solitudine del reale e le connessioni del mondo digitale, una generazione suo malgrado si è ritrovata al centro di un sistema di cambiamento globale cruciale per il mondo del futuro. Il racconto lo ha scritto e diretto (a distanza) il torinese Giorgio Ferrero, testa del team di Mybosswas, nome dietro il lungometraggio Beautiful Things, sviluppato nel contesto della Biennale College del 2017, nonché compositore di successo e grande esperienza e con già un nuovo progetto in arrivo. La particolare vicenda legata alla produzione di Happy Birthday racconta infatti di un lavoro che si è andato evolvendo "cavalcando" le drammatiche vicende geopolitiche che hanno sconvolto tutti noi nell'ultimo anno.
A marzo infatti il regista sarebbe dovuto recarsi in Russia per cercare finanziamenti per il suo nuovo lungometraggio, White Days, incontrare i membri del team con cui lavorava ormai da sei mesi, tra i quali la protagonista, la ballerina moscovita Masha Shemuranova, per poi poter girare un teaser. Il 24 febbraio avviene però l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia e tutto crolla, specialmente "dall'altra parte di Zoom".
Lo sconforto e la paura delle componenti russe del progetto di lavoro ha però responsabilizzato Ferrero, che ha tramutato il teaser in un corto e si è fatto portatore di una energia positiva che aveva prima di tutto lo scopo di testimoniare l'umanità di quelle persone che loro malgrado si erano ritrovate protagoniste di un evento terrificante e di un isolamento sociale ancora più grande di quello che da sempre soffrono sotto il governo Putin. C'è tutto questo dentro Happy Birthday e anche molto altro. C'è la sofferenza di una generazione, chiusa nel proprio corpo, lontano dalla comprensione della società e di coloro che avrebbero dovuto proteggerli e insegnare loro a crescere. Una generazione che trova conforto nelle connessioni del mondo digitale e che la lotta contro se stessa per liberare quell'incredibile voglia di esprimersi, di fuggire, di tramutare in qualcosa in azione quell'energia incredibile che hanno insegnato loro a reprimere.
Ho letto che saresti dovuto andare in Russia per proseguire lo sviluppo del tuo nuovo lungometraggio ma poi non sei partito e ti sei ritrovato a girare un corto a distanza, puoi spiegarci cosa è accaduto?
Happy Birthday è un passaggio preparatorio importante per il lungometraggio di finzione che è attualmente in fase di sviluppo. A marzo sarei dovuto andare in Russia per continuare la mia ricerca propedeutica al lavoro del film, White Days, per incontrare la giovane performer Maria (Shemuranova) e le altre ragazze che la co-produttrice russa, Lika Alekseeva, aveva identificato come possibili attrici. Dovevamo fare alcuni sopralluoghi e un workshop in cui avremmo filmato alcune scene. Il cambiamento drammatico e repentino della situazione geopolitica ha cambiato tutte le carte in tavola.
Ovviamente fai riferimento all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia...
Pochi giorni dopo l'invasione della Russia in Ucraina abbiamo organizzato una videochiamata con Lika e sembrava che ogni nostro sogno cinematografico insieme fosse crollato. Nel suo sguardo pieno di lacrime c'era tutta la disperazione di chi non vedeva più sogni, futuro e possibilità sulla propria strada dopo aver pensato per anni di poter davvero cambiare qualcosa. Era convinta che avremmo annullato tutto e forse anche noi fino a quel momento pensavamo che sarebbe finita così. In quel momento drammatico in cui la nostra videoconferenza si è interrotta perché nessuno reggeva più lo sguardo degli altri, ho realizzato che dovevamo andare avanti e che anzi dovevamo raccontare quelle emozioni e quei sentimenti in qualche modo. Erano tutti sentimenti già presenti nel trattamento del film in sviluppo, avevo scelto la Russia proprio perché avevo toccato con mano la forte compressione psicologica dei ragazzi ventenni e il grande desiderio di cambiamento e di libertà che li accompagnava da sempre.
Com'è cambiato il lavoro a quel punto?
Abbiamo intrapreso la difficile strada di realizzazione di un teaser preparatorio insieme a distanza. Mi sono messo a lavorare per sviluppare quelle piccole scene che avrei voluto girare di persona per esplorare la storia del film, erano scene di una fuga, di un conflitto con se stessi, dell'impossibilità di manifestare la propria energia e il proprio desiderio di cambiamento. Ho scritto una sceneggiatura dettagliata di quello che pensavo potesse essere un piccolo film con una propria autonomia narrativa ma non ho mai detto al gruppo di lavoro che avrei realizzato un cortometraggio, la situazione era tesa e complessa e non volevo illudere nessuno di un risultato di cui non ero certo. Pensavo di poter realizzare un teaser, figurarsi un corto che sarebbe andato addirittura alla Sic a Venezia. Loro hanno scoperto che avevamo completato un cortometraggio da distribuire soltanto nel momento in cui Beatrice Fiorentino mi ha invitato. Potete immaginare la loro felicità inattesa.
A inizio marzo la troupe di ragazze tra i 25 e i 35 anni organizzata da Lika si è messa subito al lavoro, con un grandissimo entusiasmo, senza fare domande, appropriandosi di una storia che era un'immagine della loro vita in quei giorni. Era tornato il sorriso nei loro occhi, abbiamo iniziato a collegarci quasi tutti i giorni, e non c'era nessuna negatività all'interno del processo. Abbiamo creato un nostro angolo di libertà e di sogno quando fuori, a Mosca, le multinazionali americane stavano chiudendo i negozi, quando molti ragazzi russi stavano lasciando il paese, quelli erano i giorni delle prime sanzioni, sello shock internazionale e del totale disorientamento collettivo. Ogni ragazza della piccolissima troupe si è da subito immedesimata nella protagonista contribuendo a costruire un personaggio che racchiude al suo interno un sentimento collettivo. Hanno iniziato a mandarmi possibili location, provini di ogni genere, centinaia di fotografie. Il flusso creativo è diventato una bellissima isola in cui stare insieme anche se virtualmente. Lavoravamo insieme costantemente tutto il giorno. C'è stata una frase detta da Lika, che mi colpì particolarmente: "Già ci odiavate tutti, ora ci lascerete completamente soli." Le ho detto che non era così e che andavamo avanti insieme proprio perché non era così. Durante l'inizio delle riprese lei ha lasciato la Russia. Non me lo ha detto subito per non destabilizzare il flusso. Dopo un primo complicato giorno di riprese, la notte, mi ha scritto: "Giorgio devo dirti una cosa, ieri non mi trovavo a Mosca, ero a Tashkent in Uzbekistan. Sono dovuta andare via. Scusami". Questo ennesimo imprevisto dato dal contesto non ha complicato il lavoro, anzi, ha reso il progetto ancora più intenso. Questo evento non ha creato nessuna tensione. C'era talmente tanta tensione intorno che dentro al nostro mondo volevamo solo costruire e divertirci.
Il Festival di Venezia sarà dunque l'occasione per vedervi dal vivo per la prima volta?
Si, esatto. Allora Lika, che oltre ad essere produttrice è anche un'ottima regista, è un'amica e l'ho incontrata per la prima volta a Doker, dove sono stato premiato nel 2020 per la colonna sonora di Beautiful Things e dove ho tenuto una masterclass con lei come moderatrice. Arriverà a Venezia da Israele dove vive oggi. Masha non l'ho invece mai incontrata dal vivo. Lei verrà al Lido dalla Svezia, dove lavora per una compagnia di danza.
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Entriamo nello specifico, perché hai scelto proprio di raccontare questa storia?
Subito dopo Beautiful Things ho sentito l'urgenza di raccontare una generazione, quella dei nati nel 2000, che hanno esattamente la metà dei miei anni, al centro del sistema di un cambiamento epocale. Una generazione che volente o nolente deve reagire, andando via, progettando attraverso i social media, dovendo scontrarsi con il mondo precocemente rispetto alle generazioni precedenti. White days è una storia di fuga, di incontri, di conflitto con se stessi e di sogni di ricostruzione e di ripartenza, è una storia di ragazzi che cercano di unire le proprie voci attraverso una radio collettiva e sono pronti a tutto nonostante non siano ancora in grado di gestire bene la propria persona, il confronto con se stessi. Durante i viaggi che ho avuto la fortuna di fare durante i tour mondiali del film in Russia ho potuto sentire l'incredibile energia latente generazionale, che è rimasta bloccata, ma non è stata assolutamente spenta, da una vita passata sotto una compressione totale quasi dentro a un sentimento di senso di colpa imposto. La generazione Z in Russia è stata la prima nata sotto il governo di Putin, si tratta di ragazzi iperconnessi nel mondo digitale, come si vede nel corto, ma molto soli nella vita reale. Mi ricordo che quando, durante le prove, io e Alec (Alec Von Bargen, actor coach e supervisore della sceneggiatura) abbiamo chiesto a Masha di urlare, da sola, dentro camera sua, lei si è messa a piangere, perché non era in grado di liberarsi, di sentirsi autorizzata a manifestare se stessa, anche in casa sua, nonostante sia una performer ormai con diversa esperienza alle spalle seppur molto giovane.
Hai parlato di senso di colpa come arma di compressione, cosa intendi esattamente?
Un senso di colpa sociale, come quando senti di non aver fatto quello avresti potuto o dovuto fare, ma oggettivamente farlo era quasi impossibile, un sentimento che impedisce ai giovani non solo di sentirsi legittimati a fare qualsiasi cosa per emanciparsi o per esprimersi, ma anche ad avere un atteggiamento propositivo verso chi da fuori li invita ad esprimersi senza timori di essere fregati, fregati di nuovo dalle generazioni precedenti che hanno creato questo stato di caos planetario. Trovo che la prima scena di ballo sia molto indicativa in questo senso. Quando abbiamo pensato a quella coreografia con Masha siamo partiti da un'improvvisazione che mi aveva mandato con un video selfie, che mi aveva commosso. L'idea era quella di rappresentare Electa, un personaggio manifesto della sua generazione nel momento in cui cerca di liberarsi, di respirare. Con in mente questo, che è funzionale al film, l'unico comandamento era lasciarsi andare, trovare la strada più sincera per raccontare in un attimo tutte le sfaccettature emotive di un momento di distacco, di rivalsa, di presa di coscienza del conflitto verso se stessi e gli altri. La cosa che mi ha più colpito è l'uso che ha fatto del velo bianco che avevo inserito nella mia sceneggiatura: un oggetto con il quale inizialmente si sente avvolta, come in un utero, ma poi inizia ad essere da esso strozzata, motivo per cui comincia a lottare, lo trasforma in una cosa da cui cerca di divincolarsi, ma non riesce. Quel velo è la bandiera bianca che si sporca di sangue, è il lenzuolo che si copre di smog fuori dalle nostre finestre. Quel velo è il simbolo di un sogno di trasparenza e purezza che sta svanendo intorno a noi, è una bandiera che andrebbe appesa su ogni pennone istituzionale contemporaneo, per ricordare a tutti di respirare, di rallentare, di sognare.
Un velo bianco... È ovunque il bianco.
Questi ragazzi si attaccano a motivi anche molto futili della loro esistenza per trovare una vita creativa alternativa in cui proiettare i propri alter ego online. Il personaggio si chiama Bianca e attraverso il proprio nome reale compie la propria banale equazione creativa, trova un appiglio per scappare in un'altra personalità. Bianca semplicemente è nel nome e nella vita. Bianca è ossessionata dagli oggetti bianchi e trova nel bianco la propria espressione. Bianca vestendosi di bianco costruisce il personaggio di Electa con cui affacciarsi sul mondo. Bianca trova poi nella propria esperienza formativa l'ispirazione per costruire il proprio alter ego digitale. Electa è il nome della protagonista della Sagra di Primavera di Stravinskij, un riferimento accademico solido nella formazione delle ballerine russe e non solo. Electa è una ragazza che viene uccisa dai vecchi saggi come sacrificio propiziatorio per la fecondità della terra. Questi ragazzi sono un po' vittime sacrificali delle generazioni precedenti e dovranno combattere per riappropriarsi della Terra.
Ho trovato originale questa idea di trovare nell'identità digitale una via di fuga efficace, una porta per accedere ad un modo per esprimere se stessi, quando, di solito, quella social o di internet è ritratta come una dimensione pericolosa, alienante, comunque in modo negativo. Tu invece hai ribaltato completamente questa prospettiva.
Tutto il progetto di White Days si basa su questo assunto: la cosa più positiva che internet è in grado di fare è quella di superare i nostri confini e di creare delle relazioni forti nonostante qualsiasi barriera. Lo abbiamo messo in pratica noi con il Happy Birthday. Quello che alcuni ragazzi di questa generazione fanno è carpire la grande opportunità di salvezza e di crescita per loro, cioé trovare una via di fuga anche attraverso delle connessioni futili e banali che la rete, volente o nolente, ci propone. Dopo tutto Bianca / Electa vuole fuggire per raggiungere Anita, una ragazza che non ha mai visto, che non conosce, con cui registra semplicemente dei podcast, con cui festeggia il compleanno lo stesso giorno a distanza. Loro hanno in mano i diversi codici possibili che possono essere messi in pratica sul piano dell'empatia, dell'intuito, della solidarietà e questo permette loro di accedere, in mezzo allo sconfinato magma composto da circolazioni di dati, anche molto pericolosi, ad una porta per raggiungere la libertà. Internet come il cambiamento climatico è un attore protagonista che la società ha imposto ai ragazzi di questa generazione e questa generazione deve essere in grado di cogliere l'opportunità che sta dietro a questi fattori imprescindibili.
Dunque riuscire a costruirsi un'identità digitale adeguata può essere un modo per guardare a se stessi?
Io credo che le persone che vivono nel contemporaneo possano dire di riconoscersi, di essere veramente se stesse, solo quando riesco a mixare la loro parte "reale" e la loro parte digitale perché ormai non possono essere più divise. Siamo immersi in un mondo fatto di connessioni, in cui esprimiamo le nostre paure, i nostri sogni e le nostre speranze e, a dire il vero, il digitale, forse ancora più che la sua controparte, è divenuto un modo di veicolare la nostra immaginazione e la nostra creatività. Magari l'integrazione tra questi due mondi potrebbe figliare una generazione che finalmente riesce a beneficiare di un equilibrio mai visto prima.
Invece perché l'idea del compleanno come pretesto per un incontro online?
Perché è uno dei motivi stupidi per i quali ci si incontra su internet, come può essere un videogioco che interessa a tutti o un oggetto che fa sognare intere community. C'è anche un motivo autobiografico in realtà: questi ragazzi hanno la metà dei miei anni, io sono nato il 26 di febbraio, anche se dovevo nascere il 29, quell'anno era bisestile. Ho quindi perso la mia opportunità di avere una data di nascita speciale con cui speculare sui social network. Sono ossessionato dalle date, nel film non potevo che usare quella. La guerra in Ucraina è iniziata il 24, sono tutti numeri che si incastrano e si ricompongono nella mia testa.
Ho scoperto poco prima di realizzare questa intervista che tu sei un compositore di colonne sonore prima ancora che un regista. Che importanza ha la musica nei tuoi lavori?
Sono un 'costruttore' di colonne sonore di professione, ho lavorato in una ventina di film al fianco di registi italiani e stranieri, ho musicato romanzi, spettacoli teatrali, quindi arrivo al cinema da quella porta laterale. Scrivo musiche per raccontare storie ormai da vent'anni e forse per questo voglio raccontare i ventenni anche adesso, sono rimasto lì anche io a quell'età a quei sogni. Ho lavorato anche come sound designer, come fotografo e direttore creativo e dunque passare dall'altra parte, ad un certo punto del mio percorso, è stato inevitabile. La musica e il suono sono una parte fondamentale del racconto e non solo un compendio. A me piace lavorare sulla costruzione della narrazione partendo dal suono, scrivo la partitura del film di pari passo con la stesura della sceneggiatura o la costruzione della fotografia. Scrivo spesso la musica prima di girare, soprattutto per gestire i tempi e il ritmo delle scene, anche quando c'è il silenzio. Mi piace scovare i motivi sonori che accompagnano la vita dei personaggi da sempre. Sono affamato di ossessioni uditive, di allucinazioni mentali, di voci pensiero, mi piace rappresentare il flusso sonoro che scorre nella nostra testa nonostante la nostra vita corporea fisica 'reale'. Nella mia testa per esempio risuonano ancora i canti che ascoltavo in chiesa quando ero bambino e che ogni tanto ancora mi sovvengono, anche se non vado in chiesa ormai da trent'anni. Sono cose in cui magari inciampiamo e basta, ma fanno parte di noi e dobbiamo accettarlo. In Happy Birthday come in Beautiful Things la voce della mente dei personaggi e le stratificazioni sonore della memoria sono parte fondante della storia.
Nonostante non ci sia una presenza dichiarata dell'invasione in Ucraina o una denuncia di una violenza effettiva, magari anche derivata da essa, nel tuo corto ne ho percepita un'altra proveniente dall'isolamento, dall'alienazione e da una sorta di costrizione. C'è una frase che mi ha particolarmente colpito: "ci fanno il lavaggio del cervello".
Il racconto è violento, perché parla di conflitti, con se stessi e con gli altri, con la società. In White Days c'è una grande violenza fisica rappresentata, i ragazzi si fanno male di continuo, perché il rapporto con il proprio corpo è l'altro grande tema. Allo stesso modo in Happy Birthday emerge il rapporto violento che Bianca ha con il proprio corpo che sbatte per terra, che schiaccia, che immerge nel ghiaccio. Bianca combatte con se stessa o, meglio, con una parte di sé. Il suo rapporto con il proprio corpo è conflittuale, quando è in bagno, quando danza è la manifestazione di una sorta di guerra interna. Si dice che questa generazione sia la generazione con la potenziale attività sessuale più alta di sempre, ma sia anche una generazione di ragazzi vergini ed è un po' così. Una grande energia potenziale virtuale che si scontra con una incapacità di gestire una energia fisica reale, una condizione psicologica che non ti permette di mettere la potenza in atto.
Per quanto riguarda la frase del lavaggio del cervello: io non volevo raccontare della guerra in Ucraina, ma mettere in primo piano la violenza della compressione generazionale che c'era in Russia già prima dell'inizio del conflitto che è deflagrata nel mondo con il conflitto, soprattutto sui ragazzi che ho deciso di porre al centro del mio sguardo. La guerra, l'oppressione politica sono dati di fatto storici che sono intorno, nell'aria, nella storia, i sentimenti della protagonista sono invece il vero oggetto della storia, portare alla luce lo stato d'animo di migliaia di ragazzi impotenti e dimenticati, completamente disorientati nel caos in cui si trovano loro malgrado. Quella frase nasce proprio dalle chat con Lika e Maria. Loro me l'hanno ripetuta più volte durante i nostri incontri, "le persone qui sono cieche, hanno subito il lavaggio del cervello" era la frase con cui ribadivano la situazione di terra bruciata sociale intorno che le stava soffocando spesso distruggendo anche i loro rapporti familiari che fino ad allora si erano trascinati nonostante tutto. Perché questa guerra è stata anche l'innesco della separazione di migliaia di ragazzi dalle loro famiglie, una fuga in cerca di comprensione.