Ispirato alla storia di Anneliese Michel, ventunenne tedesca malata di epilessia e morta, negli anni '70, per denutrizione, in seguito a decine di esorcismi praticati da due sacerdoti per liberarla dal demonio, arriva in Italia Requiem, film che parte dalla stessa storia raccontata nel recente The Exorcism of Emily Rose, ma che rinuncia ai toni horror, che caratterizzano sempre questo tipo di storie, per concentrarsi sull'universo privato di una ragazza in cerca di normalità. A presentare il film, passato in concorso all'ultimo Festival di Berlino, dove ha ricevuto l'Orso d'argento per la migliore attrice protagonista (la bravissima Sandra Huller), è il regista tedesco Hans-Christian Schmid.
Cosa l'ha spinta a girare questo film?
Due aspetti in particolare. Il primo è legato alla religione. Sono cresciuto in un paese della Baviera, famoso per essere una meta di pellegrinaggio e dove la religione, quindi, aveva un impatto molto forte. Pur non essendo un uomo di fede, la religione è sempre stata presente nella mia vita e ho già affrontato l'argomento in alcuni miei lavori precedenti. Inoltre, mi interessava raccontare storie di famiglie. Avevo letto questa storia dieci anni fa, quando sono cominciati i pellegrinaggi sulla tomba di Anneliese, una ragazza morta a seguito di numerosi esorcismi, considerata una martire, una vera e propria santa. Ciò che mi interessava di quella storia era il rapporto tra madre e figlia e vedere come reagiscono i membri di una famiglia quando uno di loro si ammala. Il film finisce quando non c'è più speranza. Si poteva raccontare la storia da un'altra angolazione, per esempio l'epilessia come una sorta di malattia mandata da Dio, come una prova per innalzarsi al di sopra dei comuni mortali. Alla fine, la famiglia era in pace con sé stessa e dopo la morte il padre ha costruito una chiesa di legno nei pressi della casa dove la gente potesse andare a pregare. Io però ho voluto concentrarmi più sui rapporti familiari, su persone che si vogliono bene, ma non riescono ad evitare il disastro.
Il difficile rapporto tra madre e figlia può essere considerato la causa principale della morte della ragazza?
Il rapporto tra le due è sempre stato, per me e lo sceneggiatore Bernd Lange, la parte più importante di questa storia. La ragazza tenta di vivere una vita normale, con le lezioni all'università, il primo fidanzato, ecc. Tutti i giovani vivono queste stesse cose, ma, a differenza della protagonista, riescono poi a superare i conflitti generazionali che si presentano in ogni vita. In questo caso, per la protagonista, il conflitto è diventato troppo grande e ad un certo punto è andato oltre, fino a prendere il sopravvento sul suo fragile equilibrio psichico.
Considera il suo film come una denuncia di quanto sia sbagliato fare della religione un elemento fondamentale dell'educazione?
Come già detto, vengo da un piccolo paese dove la religione è tutto e dove la gente benedice anche le automobili. Ciò che mi interessava di più erano le diverse strade seguite dai due sacerdoti nell'affrontare il problema. La cosa strana è che il sacerdote più anziano era quello più accondiscendente, mentre quello più giovane era più rigido, una specie di scienziato convinto di avere a che fare con un caso straordinario e di avere gli strumenti più adeguati per affrontare la situazione. Non ero interessato a condannare la religione e il suo peso, perché non c'è bisogno nel 2006 di fare un film per mostrare quanto sia sbagliato cercare di guarire una ragazza dall'epilessia attraverso l'esorcismo. Trovo che ogni fondamentalismo religioso sia sbagliato perché ha come caratteristica quella di chiudersi in sé stesso e non guardare all'esterno. La tragedia di queste persone è che vivevano in un sistema chiuso nelle sue convinzioni, che non si apriva agli altri.
Pensa quindi che, a venti anni di distanza da quella vicenda, queste cose non possano più succedere?
Quando il film è uscito in Germania, su un canale della televisione tedesca c'è stata una trasmissione che ospitava un prete che raccontava di aver fatto un esorcismo appena due settimane prima. So che al Vaticano i preti vengono educati alla pratica dell'esorcismo, e quindi penso che queste cose possano ancora accadere, in Germania come in Italia, o in qualsiasi altro posto del mondo.
Com'è stato accolto il film in Germania?
In Germania ci sono delle divisioni nette nelle convinzioni religiose. Il sud è molto cattolico, il nord è protestante, mentre nella parte est, quella che una volta era comunista, c'è stato un lungo periodo senza religione. Quindi, per il pubblico del nord e dell'est quella che ho raccontato nel film era soltanto una storia strana, che non conoscevano ancora, mentre per il sud erano cose che già sapevano. Non c'è stata nessuna reazione particolarmente negativa al film e anche la sorella di Anneliese, che naturalmente non era contenta di veder realizzato un film sulla propria famiglia, dopo aver visto il film è stata molto soddisfatta della maniera in cui abbiamo raccontato questa storia.
E la Chiesa come l'ha presa?
La parte più aperta ha capito che non era un film contro la Chiesa, ma un film che raccontava semplicemente la storia di una famiglia. Il mio film è diventato anche la scusa per organizzare dibattiti, per analizzare quello che la Chiesa ha fatto in passato e quello che sta facendo oggi.
Qualche tempo fa è uscito un altro film che prendeva ispirazione dallo stesso fatto di cronaca, The exorcism of Emily Rose. Se ne è preoccupato?
Siamo venuti a conoscenza della produzione di The Exorcism of Emily Rose mentre eravamo nel bel mezzo delle riprese del nostro film e la cosa, naturalmente, ci spaventava e ci preoccupava molto. Poi però abbiamo visto il film di Scott Derrickson e ci siamo resi conto che si trattava di due film completamente diversi. Il film di Derrickson, a differenza del nostro, si concentra infatti su quello che è successo dopo e sulla causa contro la Chiesa. Allora ci siamo rasserenati e abbiamo smesso di preoccuparcene