Passato e presente. Sogno e realtà. Vita e morte. Hannibal, l'originale rivisitazione dell'universo letterario di Thomas Harris ad opera di Bryan Fuller, ha sempre poggiato le proprie basi narrative sulle antinomie, e tale presupposto appare quanto mai valido nei primi due episodi della terza stagione della serie della NBC, iniziata il 4 giugno negli Stati Uniti, a distanza di un anno dal bagno di sangue dell'episodio Mizumono.
Una ripartenza che tuttavia presenta anche tratti atipici, come del resto già preannunciato da Bryan Fuller, e che se possibile sta portando ancora più all'estremo la poetica di una serie che si è distinta, fin dagli esordi, come un autentico unicum nel panorama televisivo. Le due puntate trasmesse finora, difatti, paiono quasi le due metà complementari di un racconto ancora in procinto di decollare, e che per il momento si sta limitando a predisporre le varie pedine sulla scacchiera dell'eterna partita fra Hannibal Lecter e Will Graham.
Etica ed estetica
Antipasto, primo tassello della seconda stagione di Hannibal, costituisce probabilmente l'episodio più atipico nella storia della serie. Contraddistinto dalla regia sofisticata e a tratti perfino barocca di Vincenzo Natali, che ha diretto anche le due puntate successive, Antipasto è sviluppato lungo due percorsi narrativi paralleli, con inserti e digressioni che frantumano la linearità temporale per lasciare il posto ad un'incessante alternanza fra presente e passato. Nell'incipit dell'episodio, un motociclista percorre le strade di una Parigi immersa nella notte per poi arrestarsi, togliersi il casco e mostrare il volto impenetrabile di Mads Mikkelsen; pochi istanti più tardi, Hannibal sta attraversando un salone gremito dagli ospiti di un ricevimento. La prospettiva dello spettatore, contrassegnata dal ralenti e da un'angosciosa soundtrack che copre ogni altro suono, coincide con quella del dottor Lecter: in maniera ancora più evidente quando, pochi istanti più tardi, l'inquadratura in soggettiva si fissa su uno degli invitati, Anthony Dimmond (Tom Wisdom), il quale si dirige senza esitazione verso Hannibal.
La serie di Fuller, in fondo, è sempre stata caratterizzata da un approccio ben lontano dall'oggettività e dal realismo: in Hannibal la narrazione, ogni tipo di narrazione, è filtrata dalla mente dei personaggi, e lo stesso "mondo" messo in scena presenta contorni e sfumature che rimandano alla dimensione dell'inconscio e dell'onirico. E in Antipasto, il punto di vista adottato è, di volta in volta, quello di Hannibal Lecter, che si stabilisce a Firenze assumendo l'identità del professor Roman Fell, esperto dantista, e della psichiatra Bedelia Du Maurier (Gillian Anderson), partner e complice di Hannibal. Se nell'ultima sequenza di Mizumono la coppia era in volo verso l'Europa, in Antipasto alcuni flashback ricostruiscono eventi precedenti alla loro partenza, pur senza sciogliere del tutto il mistero di questa "relazione pericolosa": Bedelia aveva ucciso un loro comune paziente, Neal Frank (nel cui cadavere è possibile riconoscere un macabro 'cameo' di Zachary Quinto), per poi ritrovarsi a condividere gli oscuri segreti del dottor Lecter. Nel corso dell'episodio, Bedelia si dimostra perfettamente consapevole della singolare natura del proprio compagno di viaggio, così come della sua completa assenza di morale (perlomeno secondo la comune accezione del termine), come indica una frase emblematica pronunciata dalla donna: "Tu non hai più preoccupazioni etiche, Hannibal... soltanto preoccupazioni estetiche".
"È quel genere di festa?"
Dunque l'estetica, nella cucina così come nel delitto, si ripresenta prepotentemente all'interno di un racconto in cui l'orrore viene sublimato fino ad assurgere allo statuto di autentica opera d'arte. Tale principio, che risultava quanto mai valido già nei primi episodi della serie (gli agghiaccianti tableaux realizzati con i cadaveri delle vittime), è ribadito in Antipasto, sul piano visivo, con un'inquietante sovrapposizione fra il volto di Hannibal e l'incisione di Gustave Dorè di Lucifero, nell'ultimo girone dell'Inferno, con le grandi ali spiegate. Ma a prescindere dalla componente thriller e horror, questo primo episodio è quasi interamente incentrato sul rapporto fra Hannibal e Bedelia e sull'inestricabile ambiguità di un legame in cui l'attrazione latente (la sequenza in analessi con Hannibal seminudo nella camera da letto di Bedelia) si amalgama alla sudditanza psicologica della dottoressa nei confronti del proprio collega. Una scena rivelatrice, in tal senso, è quella della cena di Hannibal e Bedelia insieme all'incauto dottor Dimmond, affascinante accademico che accetta l'invito del dottor Lecter, allettato dalla prospettiva di un potenziale ménage-à-trois ("È quel genere di festa?"), senza rendersi conto che si sta dirigendo verso il patibolo.
E mentre Anthony Dimmond, ferito a morte, si trascina agonizzante sul pavimento della dimora fiorentina di Hannibal, quest'ultimo domanda a Bedelia: "Stai osservando o partecipando?". Bedelia vorrebbe limitarsi ad osservare, ma l'atto stesso dello sguardo, le fa notare Hannibal, implica la partecipazione della donna al delitto che sta avendo luogo di fronte ai suoi occhi. I vertici del grottesco e del grand guignol, tuttavia, sono raggiunti nella linea narrativa che ci riporta al passato, e precisamente alla prigionia dello psicopatico Abel Gideon (Eddie Izzard), catturato da Hannibal e mantenuto in vita mentre viene smembrato pezzo dopo pezzo. Diversi flashback, incastonati all'interno dell'episodio, rievocano gli ultimi giorni di Gideon, amputato prima di una gamba e poi di un braccio e costretto a cibarsi della sua stessa carne, a tavola con Hannibal. La calma straniante di Gideon e i sinistri sottotesti nella conversazione fra lui e il dottor Lecter offrono alcuni dei momenti più disturbanti dell'episodio; e Gideon, rassegnato a consumare questa "ultima cena" fino all'ultimo boccone, riesce perfino a indovinare il più recondito desiderio di Hannibal: avere ancora una volta Will Graham come proprio commensale.
Il Mostro di Firenze
"Io ti perdono": era la frase pronunciata da Hannibal a Will, nel finale della seconda stagione, un attimo prima di tagliare la gola ad Abigail Hobbs (Kacey Rohl). La climax di Mizumono è anche la scena d'apertura di Primavera, secondo episodio della terza stagione; nella sequenza successiva Will, impersonato da Hugh Dancy, si risveglia in un letto d'ospedale, con l'addome fasciato, mentre Abigail entra nella sua stanza per fargli visita. Ma la ragazza, ricomparsa a sorpresa - in carne e ossa - in Mizumono, già in passato era stata un simulacro partorito dalla mente di Will, allegoria di uno strisciante senso di colpa. Anche stavolta, la sua presenza è puramente illusoria: Abigail, che si materializza accanto a Will pure otto mesi dopo, a Palermo, nel suo viaggio transoceanico sulle tracce di Hannibal, non è che il frutto della psiche tormentata dell'uomo.
Il viaggio in Italia di Will allo scopo di catturare lo psichiatra cannibale è aperto dall'incontro a Palazzo dei Normanni, nella Cappella Palatina, con l'ispettore Rinaldo Pazzi, un personaggio ideato da Harris per il romanzo Hannibal e interpretato nella serie da Fortunato Cerlino (il boss Pietro Savastano in Gomorra - La serie). Pazzi, intenzionato ad affiancare Will nella sua indagine, rivela di aver già dato la caccia ad Hannibal circa vent'anni prima, intrecciando la finzione narrativa con il famigerato caso di cronaca del "Mostro di Firenze". Pazzi racconta la vicenda di un serial killer che disponeva i corpi delle proprie vittime per riprodurre le immagini di celebri dipinti del Rinascimento, come la Primavera di Sandro Botticelli (da cui il titolo dell'episodio), rimandando alla dicotomia già sollevata nell'episodio precedente: l'etica viene annullata per lasciare posto all'estetica. Questa volta, l'oggetto della "creazione artistica" di Hannibal è il cadavere martoriato del dottor Anthony Dimmond, disposto nella cappella in modo da assumere le sembianze di un cuore. E poco dopo, in una delle sequenze più scioccanti, la sfera onirica torna a prevalere sulla realtà: davanti agli occhi di Will, il cadavere di Dimmond prende la forma del mostruoso Uomo Cervo, manifestazione di un Male assoluto e insondabile.
"Io ti perdono"
La spaventosa visione dell'Uomo Cervo è solo uno degli esempi di corto circuito fra realtà e allucinazione, un conflitto al cuore della serie di Bryan Fuller. E in Primavera, l'elemento realistico e quello metafisico si fondono continuamente, traducendosi sul piano della messa in scena in una potenza espressiva capace di generare notevoli suggestioni (e non a caso la fotografia gioca al massimo sui toni più cupi, ai limiti della comprensibilità). Il contrasto fra questi due aspetti opposti si riverbera perfino sugli ambienti che fanno da cornice alla storia: il Palazzo dei Normanni è equiparato a un "palazzo della mente" in cui tanto Will quanto Hannibal hanno intrappolato i fantasmi della loro psiche, mentre la lunga sequenza conclusiva dell'episodio si svolge all'interno delle catacombe della Cattedrale di Palermo. I corridoi oscuri e tortuosi nei sotterranei dell'edificio diventano pertanto una proiezione dell'animo dei personaggi, in cui la loro stessa esistenza fisica viene messa in dubbio ("Sei già morto, non è vero?", domanda l'ispettore Pazzi a Will).
Le catacombe, infine, sono il teatro dell'atteso ricongiungimento fra Will e Hannibal. Il cannibale, celato in un angolo immerso nell'ombra, scruta in silenzio il profiler dell'FBI: ciascuno dei due è al tempo stesso cacciatore e preda. Will non riesce a vederlo ma è consapevole della sua presenza, e guardandosi attorno, nelle tenebre di quella "città dei morti", sussurra la medesima frase che Hannibal gli aveva rivolto poco dopo avergli conficcato un pugnale nel petto: "Io ti perdono". Il rapporto fra Will e Hannibal, del resto, non è solo uno sfibrante gioco fra il gatto e il topo, ma è soprattutto una storia d'amore - inesorabilmente perversa - fra due anime in grado di comunicare l'una con l'altra mediante un linguaggio a cui nessuno, a parte loro due, è in grado di accedere. E il perdono, in questo caso, non pone certo fine a un duello sul punto di entrare nel suo terzo, fatidico atto. La caccia, insomma, è appena all'inizio...
Movieplayer.it
4.0/5