Gli ebrei che imbracciarono il fucile
Il cinema ha sempre fornito la stessa immagine degli ebrei in tempi di guerra (mondiale) sottolineando, giustamente, quella abominevole persecuzione alla quale sono stati condannati per anni. E non sono certo mancati quei titoli che ci hanno messo al corrente dell'animo buono dell'eroe di turno che col proprio coraggio ha salvato tante vite umane, sottraendole alla cieca furia nazista. Mai nessuno si era però mescolato tra coloro che scelsero di ribellarsi, di non rassegnarsi a diventare carne da macello. Con Defiance - I giorni del coraggio, Edward Zwick ci racconta proprio questo aspetto della storia e in questo sta il valore principale del film. Fin quando allarga la nostra conoscenza dei fatti accaduti, illuminandoci su come andarono le cose, il cinema 'educativo' non risulta mai gratuito, sebbene spesso pecchi di quella mancanza di vivacità che lo condanna a mero strumento conoscitivo.
Scritto dallo stesso Zwick in collaborazione con Clayton Frohman, Defiance narra la vicenda eroica dei fratelli Bielski che nel 1941, in territorio polacco (ora Bielorussia), sfuggirono ai rastrellamenti nazisti rifugiandosi in un bosco dell'entroterra. La loro resistenza divenne richiamo per centinaia di altri ebrei che si unirono a loro per formare un villaggio in nome della libertà. Il film non tace la rabbia che mosse i tre fratelli e che li portò a votarsi alla legge dell'occhio per occhio, dente per dente, condannando a morte quei membri delle truppe naziste che avevano partecipato ai massacri o che ancora intendevano rubare la loro vita. Pistole e fucili tornano quindi utili per consumare la vendetta e per salvarsi la pelle. E' un'immagine forte, che colpisce per la ruvidezza delle personalità che la compongono, incarnate con efficacia da attori del calibro di Daniel Craig, Liev Schreiber e Jamie Bell, autori tutti di una prova dalla grande capacità comunicativa. Purtroppo però, il film di Zwick soffre di quella monotonia di racconto che pur non scivolando mai nella pesantezza, cercando di mantener viva la suspense nel gioco (ci si passi il termine) tra ebrei e tedeschi che si scambiano continuamente il ruolo del gatto e del topo, consegna a lungo andare il film alla noia. L'intento educativo è certamente raggiunto, la spinta alla sopravvivenza che strozza l'etica favorisce più di qualche pensiero, ma sotto il piano estetico l'impressione è quella di un compito svolto in maniera onesta e rigorosa, che non sfrutta però al meglio le possibilità del cinema. Immerso nel verde-blu della fotografia che contribuisce a rendere gelido il racconto, il film si regge soprattutto sulle vigorose interpretazioni degli attori protagonisti e non ci risparmia quel sentimentalismo scontato che sembra intervenire puntuale anche in situazioni del genere, e che pare esistere principalmente a uso e consumo dello spettatore alla ricerca dell'emozione. Senza ispirazione non si arriva però nel cuore delle persone e anche una storia dal grande potenziale rischia di veder sciupata tutta la sua potenza.