Sono ormai passati otto anni da quando, nel 2016, è arrivato nelle sale cinematografiche di tutto il mondo quello che viene da sempre etichettato come il "Ghostbusters al femminile" di Paul Feig. La pellicola vedeva infatti come protagoniste alcune delle più note e apprezzate comedian nordamericane - Melissa McCarthy, Kristen Wiig, Kate McKinnon e Leslie Jones. Nelle intenzioni della Sony Pictures e della Ghost Corps (l'etichetta sussidiaria dello studio che segue le attività del brand nato con l'iconico capolavoro di Ivan Reitman datato 1984), doveva essere un reboot per rilanciare la saga 27 anni dopo che tutto il mondo aveva visto gli Acchiappafantasmi intenti a sgominare Vigo il Carpatico con l'aiuto della... Statua della Libertà.
Sulla carta gli ingredienti del successo c'erano tutti: un brand amatissimo, uno studio pronto a investire più di 140 milioni di dollari nel budget (escluse le spese di P&A), il regista, Paul Feig, e due delle protagoniste di Le amiche della sposa, Melissa McCarthy e Kristen Wiig, una strepitosa commedia costata 32 milioni di dollari che ne ha poi portati 306 nelle casse della Universal nel solo circuito theatrical.
Come spesso accade in quel di Hollywood, le rosee aspettative si sono poi infrante contro il grigiore della realtà. Ghostbusters è finito per incassare "solo" 229 milioni di dollari causando una perdita che, secondo le stime citate dall'Hollywood Reporter nell'agosto del 2016, avrebbe toccato quota 70 milioni di dollari. Numeri che, sempre da prassi hollywoodiana, sono sempre stati smentiti dallo studio. Ad aver tarpato le ali del successo al Ghostbusters femminile avrebbe contribuito anche la focosa campagna d'odio online nata in un anno, il 2016, che è stato di fondamentale importanza nella storia degli Stati Uniti d'America - e di riflesso per il mondo intero: quello dell'elezione di Donald Trump a 45° Presidente americano.
Il flop di Ghostbusters figlio del clima politico del 2016
Paul Feig si ritrova a discutere ciclicamente della sua esperienza con Ghostbusters e, di recente, lo ha fatto sulle pagine dell'inglese The Guardian rispondendo a una domanda che, a dire il vero, non citava affatto la campagna d'odio online e il review bombing fatto ai danni della pellicola, ma, semmai, la sua decisione di dare vita a un vero e proprio reboot più che a un sequel del secondo capitolo. Dice Feig:
Bill Murray aveva dichiarato pubblicamente di non voler fare un altro Ghostbusters. Harold Ramis era morto. Dan Aykroyd ed Ernie Hudson avevano voglia di farlo, ma con metà della squadra sarebbe parso comunque molto strano. Erano passati un po' più di 30 anni al tempo e Bill e il resto della gang erano così iconici, non volevo fare nulla che danneggiasse i film originali.
Terminata questa riflessione, Feig fa poi una digressione di carattere socio-politico analizzando come il peculiare contesto del tempo abbia influenzato prima la percezione e poi l'esito commerciale della sua creatura:
Il clima politico di quel periodo era davvero strano, con Hillary Clinton in corsa per le elezioni nel 2016. C'erano molti uomini pronti a combattere. Quando venivo attaccato su Twitter, andavo a controllare chi fossero. Molti erano sostenitori di Trump. Poi lo stesso Trump si scagliò contro di noi. Disse qualcosa del genere: "Stanno rifacendo Indiana Jones senza Harrison Ford. Non puoi farlo. E ora stanno facendo Ghostbusters solo con donne. Cosa sta succedendo?" e si arrabbiò. Tutti impazzirono. Il film divenne una dichiarazione politica: "Se sei a favore delle donne, andrai a vederlo. Se no, allora...". Non immaginavo davvero che fregasse a qualcuno che i personaggi principali fossero donne, ma la gente portava con sé un sacco di pregiudizi.".
Un periodo, quello dell'ascesa di Trump, in cui molta gente ha iniziato a lamentarsi pubblicamente della dittatura del politicamente corretto ai danni di storie normalmente interpretate da maschi per lo più caucasici che venivano sostituiti o da donne o da persone non caucasiche e delle commedie che non possono più prendere in giro nessuno. Una presa di posizione, quest'ultima, abbastanza curiosa da accostare a Paul Feig che, col suo già citato Le amiche della sposa, aveva portato nelle sale una commedia Rated-r che non si risparmiava nulla... ma che aveva comunque la colpa di avere non una, ma addirittura SEI protagoniste donne.
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Le minacce di morte, l'odio online e le critiche di Dan Aykroyd e Jason Reitman
Come spiegavamo in apertura di questo articolo, la storia del Ghostbusters al femminile è costellata di polemiche davvero molto pesanti. Già nel 2022 Paul Feig, in un profilo pubblicato sulle pagine dell'Hollywood Reporter, aveva ammesso che il 2016 "era un periodo davvero estremamente carico di tensione" per gli Stati Uniti d'America e che Ghostbusters si è ritrovato nell'occhio del ciclone. Nello specifico dell'hate speech online, il filmmaker ammetteva che per lui era stato davvero complicato assorbire e metabolizzare la campagna d'odio perché, prima di quel cataclisma, aveva sempre avuto un buon rapporto con internet.
Si sentiva di nuovo come quando, a scuola, aveva a che fare con i bulli mentre l'intenzione di tutti era solo quella "di dare forma a un film che strappasse una risata alle persone". Ma probabilmente, la persona che ha vissuto i momenti peggiori è stata Leslie Jones, l'interprete di Patricia "Patty" Tolan. Nel suo libro di memorie Leslie F*cking Jones: A Memoir, l'attrice racconta che la campagna d'odio nei suoi confronti aveva raggiunto livelli talmente critici che l'allora CEO di Twitter, Jack Dorsey, la contattò direttamente decidendo anche di mettere "di guardia" al suo profilo un team apposito, dati i reiterati tentativi di hacking. Scrive Leslie Jones nel suo libro che:
C'era chi mi spediva filmati di impiccagioni, di ragazzi bianchi intenti a mast°rbarsi sulle mie foto mentre mi dicevano "Maledetta neg°a. Ti uccideremo". Perché la gente si comporta in modo così cattivo? Come fai a sederti e scrivere a una persona "Voglio ucciderti". Chi può fare una cosa del genere?.
Ad acuire ulteriormente una situazione non facile, arrivarono anche le critiche di Dan Aykroyd, il leggendario interprete di Ray Stantz co-sceneggiatore, con Harold Ramis, del primo Ghostbusters e le poco caute esternazioni del figlio di Ivan Reitman, Jason.
Cominciamo da quest'ultimo che, dopo l'annuncio di Ghostbusters: Legacy, aveva dichiarato che la sua pellicola avrebbe "restituito il film al fandom". Un'uscita un po' troppo indelicata considerato quello che era accaduto a Paul Feig and co e che poi lo stesso Jason Reitman ha tentato di aggiustare ammettendo che "gli era uscita male" visto che non provava altro che ammirazione per Feig, la sua squadra di attrici e quello che avevano, con coraggio, cercato di fare.
La visione di Dan Aykroyd
Dan Aykroyd, che nella pellicola del 2016 compariva con un cameo nei panni di un tassista, aveva rilasciato delle dichiarazioni decisamente più gravi. A suo dire, il budget del film si era alzato eccessivamente per colpa di Paul Feig reo anche di non aver voluto inserire in Ghostbusters alcune scene che gli erano state suggerite; cosa che si è poi rassegnato a fare dopo alcuni test-screening non proprio positivi. Come conseguenza, i costi produttivi del progetto si sono alzati di 30, 40 milioni tanto da aver reso impossibile il raggiungimento del punto di pareggio al botteghino. Aykroyd si concesse anche una profezia, ovvero che Paul Feig non avrebbe rimesso piede in Sony per molto tempo.
Negli anni, Dan Aykroyd ha rivisto e ammorbidito le sue posizioni spiegando di non avere nulla contro il Ghostbusters del 2016, ma, anzi, di trovarlo un film che funziona bene interpretato da donne spettacolari. E in quanto ai costi, ha del tutto cambiato prospettiva, addossando su di sé le colpe della cosa spiegando di non aver adempiuto adeguatamente al suo lavoro di produttore del lungometraggio specie per quel che riguardava il budget e il contenimento della spesa.
Atmosfera socio-politica, troll online, critiche e successivi ripensamenti a parte, forse la colpa, o quantomeno il difetto più grande, del Ghostbusters di Paul Feig è quello di essere un progetto poco incisivo e con una comicità meno efficace e, soprattutto, così intrinsecamente legata alla "geografia di New York" come è accaduto, quattro decenni fa, a Ivan Reitman e soci in una di quelle caotiche magie produttive e artistiche che hanno fatto la storia stessa del cinema americano e di alcuni dei suoi più fulgidi esponenti.