La realtà virtuale si può ormai considerare un elemento concreto della Mostra del cinema di Venezia. Si conferma infatti, dopo il debutto dello scorso anno, lo spazio dedicato all'isola del Lazzaretto Vecchio, che rende Venice VR la prima sezione di tutto rispetto in un festival internazionale di cinema, con tanto di concorso e premio associato. Un aspetto che, insieme all'apertura ai progetti targati Netflix nella selezione ufficiale della Mostra, sottolinea l'intenzione ad aprire le porte con curiosità alle nuove tendenze dell'intrattenimento.
Come un anno fa, abbiamo abbracciato questa apertura al virtuale, recandoci con entusiasmo all'isola del Lazzaretto Vecchio per immergerci, letteralmente, nei mondi virtuali proposti, dedicando molte ore sparse in due o tre giorni ai numerosi progetti proposti, in numero decisamente crescente rispetto allo scorso anno. Ma quantità e qualità solo tali da invitarci a tornare ancora e passare giornate intere nell'esplorazione di una nuova declinazione artistica che sta cercando di consolidare le sue diverse forme e anime. Anche per il 2018 Venice VR si compone di tre aree separate che indicano tre diversi utilizzi della Virtual Reality: il VR Theatre, gli Stand-up e le Installations.
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Da Ghost in the Shell a Isle of Dogs: immersi nel racconto
Il Theatre non è dissimile da quello dello scorso anno e si compone di una serie di sedie girevoli sulle quali gli spettatori si accomodano per fruire i titoli a disposizione, in modo da poter ruotare il proprio punto di vista a piacimento in storie il cui sviluppo è lineare e non molto diverso da normali cortometraggi.
Per questo è la sezione che abbiamo indagato meno, non per mancanza di qualità nelle produzioni proposte, ma perché per sua natura meno spinta verso l'innovazione del linguaggio cinematografico e dell'innovazione.
Ci si stupisce comunque nel guardare un cortometraggio come Ghost in the Shell: Virtual Reality Diver, che ci riporta nel mondo ispirato al popolare manga di Masamune Shirow per una storia da vivere in strettissimo contatto con i protagonisti, entrando nell'azione, variando il punto di vista e scrutando i dettagli. Allo stesso modo Isle of Dogs: Behind the Scenes sfrutta la possibilità del cambio di prospettiva per raccontare i personaggi del film e la sua realizzazione: se ci si trova faccia a faccia con i cani protagonisti, che uno dopo l'altro si raccontano alla telecamera, basta ruotare il punto di vista per vedere gli artisti al servizio di Wes Anderson al lavoro per la complessa animazione in Stop Motion che dà vita alla storia.
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Il ritorno di Arden's Wake e il gioco interattivo delle stand-up
Gli Stand-Up sono il primo passo verso qualcosa di più complesso: in molti casi si tratta ancora di narrazione lineare, come nel caso del simpatico corto animato Fresh Out nel quale lo spettatore interpreta una carota, ma in molti casi appaiono i primi accenni di una partecipazione da parte dello spettatore. Pensiamo a Arden's Wake: Tide's Fall, secondo capitolo del progetto firmato Penrose Studios che ha vinto il premio come Best VR lo scorso anno e vanta le voci di Alicia Vikander e Richard Armitage: a un racconto pulito e toccante si aggiunge la possibilità di aggirarsi a piacimento nella bellissima ambientazione marina, scegliendo il punto di vista da usare, ammirando i dettagli della curatissima ambientazione e vivendo le emozioni della storia insieme alla protagonista.
Rientra nella stessa tipologia anche Kekkon Yubiwa Monogatari (Storie di fedi nuziali), vero e proprio manga animato targato Square Enix, in cui lo spettatore vive una storia fatta di vignette in cui l'azione non è statica, ma animata e tridimensionale, alcune delle quali diventano un vero teatro immersivo: si entra nella vignetta e ci si può guardare attorno nel mondo disegnato dagli artisti al servizio di Sou Kaei per questo primo prodotto del Progetto Hikari, ricerca interna a Square Enix per esplorare le potenzialità narrative offerte dal mezzo.
Un passo sul cammino dell'interattività arriva per esempio con Crow: The Legend, che al livello del racconto, toccante e simbolico, aggiunge la possibilità di modificare l'ambiente con il movimento delle mani, o con The Unknown Patient di Micheal Beets, suggestiva messa in scena artistica di una storia vera di un soldato smarrito che viene ritrovato in un ospedale psichiatrico, in cui lo spettatore deve intervenire con semplici ricerche per sbloccare e far proseguire il racconto. Meno interattività, ma più ambizioni artistiche, invece, per altri progetti come L'ile des morts o l'affascinante viaggio astronomico di Spheres (abbiamo provato uno dei tre capitoli, narrato da Patti Smith), mentre il supporto tecnico rende intrigante un progetto come The Last One Standing VR, folle corsa tra grattacieli a bordo di uno scooter volante, supportati da una poltroncina che simula i movimenti vissuti su schermo.
Discorso a parte meritano lo spaventoso horror Kobold o Discovery of Witches: Hiding in Plain Sight, più vicini a veri e propri videogiochi piuttosto che a storie interattive, nel quali il fruitore deve muoversi in un ambiente virtuale e compiere azioni per far proseguire la storia. Entrambi i progetti hanno la caratteristica di essere accompagnati da un filmato introduttivo che ne presenta la storia e traccia i presupposti, entrambi disponibili nel contesto di Venice VR e visionabili prima di partecipare alla stand-up.
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La partecipazione attiva delle installazioni di Venice VR
Come l'anno scorso, le sorprese maggiori arrivano dalla sezione delle Installazioni, che comprende opere molto diverse tra loro, ma accomunate da una sperimentazione più spinta. Sono anche le più impegnative da fruire, perché in molti casi è necessario un impegno di tempo non indifferente (la escape room Eclipse, per esempio, ha una durata di un'ora, mentre The Horrifically Real Virtuality è un'esperienza di stampo teatrale che richiede 50 minuti per essere vissuta). Quella che più colpisce, vagando tra i corridoi di Venice VR, è senza dubbio VR-I, che occupa uno spazio notevole nel contesto della sezione: l'installazione occupa uno spazio di otto per cinque metri e può essere fruita da cinque partecipanti contemporanei che, indossando visore, zainetto e sensori per mani e piedi, possono muoversi nell'area indicata e anche interagire tra loro, mentre circondati da un contesto virtuale in cui personaggi si muovono e danzano.
Ugualmente interessante, oltre che attuale, è Make Noise incentrato sul tema dei diritti delle donne e invita alla partecipazione attiva: non bisogna solo guardare le suggestive immagini oniriche dirette da May Abdalla, ma urlare, cantare... insomma, fare rumore. Un'esperienza che fa riflettere sul perché sia così difficile farsi avanti, dire la propria e non limitarsi ad assistere. Un'esperienza che insieme a tante altre presenti nell'edizione 2018 di Venice VR ci fa incontrare un nuovo modo di di comunicare con lo spettatore, un mezzo espressivo che sta sperimentando il proprio linguaggio per verificarne, e superarne, i limiti.