Furti, amore e spiritualità attraversando la Cina
Amanti e truffatori di alto livello, Wang Bo e Wang Li vivono grazie al frutto delle estorsioni che compiono in ogni angolo della Cina. Dopo il loro ultimo "colpo", i due si imbarcano in una lunga traversata del paese in treno, durante la quale incontrano Root, un ingenuo pittore che ha appena ritirato i soldi che gli permetteranno di sposarsi, e la banda di Zio Hu Li, ladri altamente organizzati. Il povero Root sarà presto preso di mira dalla banda di Hu, ma Li lo prenderà sotto la sua protezione, scontrandosi anche con il suo uomo.
Grande successo commerciale nella Cina Popolare, questo A World without thieves è diretto dal regista Feng Xiaogang, re incontrastato del botteghino cinese, e interpretato da tre star appartententi al cinema delle cosidette "tre Cine": Andy Lau da Hong Kong, René Liu da Taiwan, e Ge You dalla Cina Popolare. Un'opera pensata come un vero e proprio blockbuster, quindi, che ha funzionato molto bene presso il pubblico asiatico e riecheggia molto, nella costruzione narrativa e nella miscela di generi che propone, temi e soluzioni stilistiche del cinema di Hong Kong degli anni '90. Il film parte infatti come una commedia sentimentale con una "spruzzata" di elementi da crime movie (il primo quarto d'ora del film è molto simile a quello del contemporaneo Yesterday once more, diretto da Johnny To), per poi virare verso il film d'azione, attraversando il melò e inserendo nella trama una serie di suggestioni da dramma spirituale che sono tipiche della cinematografia cinese recente.
Feng sa come dirigere un film pensato per il pubblico, e come gestire le tre star a sua disposizione, che offrono prove convincenti e anche decisamente "divertite" nei rispettivi ruoli; il film si avvale di un'ottima fotografia, che restituisce paesaggi mozzafiato durante la lunga traversata a bordo del treno in cui si svolge gran parte dell'azione. Il problema principale di questa pellicola, tuttavia, è che la confezione risulta un po' troppo "levigata", la regia troppo legata a espedienti presi di peso dal cinema occidentale (vedi un uso insistito e spesso gratuito del ralenty), per un film che si pone sì come opera commerciale, ma che propone anche una miscela di generi dalla quale ci si aspetterebbe un coraggio maggiore a livello di sperimentazione visiva e narrativa. Lo sguardo, come si diceva, è rivolta alla Hong Kong degli anni '90 e alle sue contaminazioni stilistiche, ma quel cinema, a differenza di quello proposto da Feng, aveva in sé una spontaneità, a volte anche una "sporcizia", che qui vengono deliberatamente sacrificate a favore di una confezione impeccabile, ma che appare fin troppo artefatta in alcune soluzioni narrative e di regia. La sceneggiatura cerca di mantenersi in equilibrio tra i diversi generi toccati, ma la componente più seria e "spiritualista" (quella che Johnny To e Wai Ka-Fai avevano invece affrontato in modo convincente, partendo sempre da una struttura tipicamente di genere, nel loro Running on Karma) risulta alla fine sacrificata, quasi pretestuosa, mentre il personaggio di Root (interpretato da Ge You), quello che offriva maggiori possibilità per dare al film uno spessore un po' più consistente, è in definitiva tenuto abbastanza in secondo piano, nonostante il suo ruolo apparentemente centrale.
In ogni caso il film raggiunge indubbiamente lo scopo di intrattenere, è visivamente molto curato, spesso accattivante, e si avvale, come detto, di interpretazioni di buon livello, che danno vita a momenti di comicità a tratti irresistibile. Resta l'amaro in bocca perché il regista poteva "osare" di più e non l'ha fatto, scegliendo di restare su un terreno che certamente non avrebbe deluso il pubblico, ponendosi come cineasta popolare per eccellenza all'interno di un mercato che sempre più si apre ai "generi" come quello della Cina Popolare.
Movieplayer.it
3.0/5